12 ottobre 1492: l’urlo di Rodrigo de Triana

Rodrigo de Triana era nato in Andalusia nel 1469; era figlio di un agiato commerciante e il suo vero nome alla nascita era Juan Rodríguez Bermejo. Secondo alcune fonti era di religione islamica, sicché per imbarcarsi sulle caravelle che componevano la spedizione di Colombo dovette convertirsi al Cristianesimo.

Le tre caravelle erano partite da Palos de la Frontera il 3 agosto 1492. In un clima di crescente tensione e sfiducia, con la rotta ostinatamente puntata a ovest per volontà del comandante, il viaggio verso l’ignoto proseguiva da due mesi in quell’oceano infinito e sconosciuto.

Il 10 ottobre un tentativo di ammutinamento fu annullato sul nascere, ma Colombo accettò di venire a patti: se entro tre giorni le vedette non avessero scorto alcuna terra le caravelle sarebbero tornate indietro.

Il giorno 11 alcuni segnali positivi ridiedero un po’ di fiducia all’equipaggio scoraggiato: furono avvistati diversi oggetti, fra cui un giunco, un bastone e un fiore fresco che sembrava preannunciare la vicinanza della terra emersa.

Iniziò quella lunga, storica notte.

Due ore prima della mezzanotte, Colombo credette di avere intravisto in lontananza una luce, «como una candelilla que se levava y se adelantaba» (“come una piccola candela che si levava e si agitava”).

Alle due di notte il giovane Rodrigo de Triana era al posto di vedetta, a bordo della Pinta del capitano Martín Alonso Pinzón.

Dobbiamo immaginarcelo stanco ma sovraeccitato dagli eventi del giorno prima, con lo sguardo teso a scrutare il buio. Forse già diverse volte aveva dovuto soffocare un grido di entusiasmo di fronte all’apparire e allo svanire di un’immagine illusoria.

Ma a un certo punto, nell’oscura foschia, Rodrigo intuì, immaginò, vide e distinse la costa. E urlò, con tutto il fiato che aveva: “Tierra! Tierra!”.

Martín Pinzón diede ordine di dare il segnale alle altre due navi con il cannone. I marinai saltavano, urlavano, si abbracciavano felici.

Colombo, che due giorni prima aveva rischiato di essere spodestato e forse buttato in mare dalla ciurma inferocita, calmo e distaccato, diede ordine di prepararsi allo sbarco appena fosse sorta l’alba.

Cristoforo Colombo interpretato da Gabriel Byrne nello sceneggiato RAI diretto da Alberto Lattuada (1985)

Rodrigo de Triana era felice, perché era stato promesso un ricco premio a chi avesse per primo avvistato la terra (una rendita di 10.000 maravedis d’oro annui). Ma il mondo non è dei poveracci: la rendita non fu concessa dai re cattolicissimi allo sconosciuto andaluso, ma andò all’ammiraglio Colombo, che aveva dichiarato di aver già visto la sera prima una luce proveniente dalla costa e che, da bravo genovese, non rifiutò di certo il ricco appannaggio.

In seguito ci riprovò. Partecipò come marinaio a diverse spedizioni organizzate dal re di Spagna nel secolo XVI. In particolare, andò alle isole Molucche nel sud-est asiatico; e alle Molucche morì nel 1535. Lasciò una vedova, Caterina Munoz, che ricevette in Spagna – almeno lei – il salario del defunto marito.

La mattina del 12 ottobre 1492 Colombo e i suoi uomini sbarcarono su un’isola chiamata Guanahani, che l’ammiraglio ribattezzò San Salvador in omaggio a Cristo Salvatore.  Qui avvenne il primo incontro con le miti e pacifiche popolazioni che furono credute “indiane”; fin dalla prima sua relazione, Colombo volle sottolineare la bontà di questi “selvaggi”: «Mancano di armi, che sono a loro quasi ignote, né a queste son adatti, non per la deformità del corpo, essendo anzi molto ben formati, ma perché timidi e paurosi […] Del resto, quando si vedono sicuri, deposto ogni timore, sono molto semplici e di buona fede, e liberalissimi di tutto quel che posseggono: a chi ne lo richieggia nessuno nega ciò che ha, ché anzi essi stessi ci invitano a chiedere» (14 marzo 1493, Lettera ai Reali di Spagna, traduz. dal latino di G. Vaccari).

A chi lo chiedeva, gli “indiani” non negavano nulla di ciò che avevano. Ma negli anni successivi a loro fu tolto tutto, senza chiedere alcun permesso. Bartolomè de Las Casas, il vescovo domenicano concittadino di Rodrigo de Triana e autore di una relazione a proposito del comportamento dei “conquistadores”, scrisse così: «li han considerati non dico alla stregua di bestie (…), ma dello sterco che si trova in mezzo alle strade e ancora peggio».

Questo, però, Rodrigo de Triana non poteva immaginarselo; se no, forse, sarebbe rimasto zitto e avrebbe soffocato in gola quel grido liberatorio e ricco di speranze destinate a morire.

A Rodrigo de Triana è stato dedicato un libro dal giornalista e scrittore piemontese Gino Nebiolo (1924-2017): si intitola «Ucciderò Cristoforo Colombo» (Cairo Editore, 2007).

Gino Nebiolo

Questo romanzo, frutto di anni di ricerche (solo così si dovrebbero scrivere i romanzi), narra l’ossessione di Rodrigo di Triana, che intende vendicarsi di chi lo ha tradito e derubato di quanto gli spettava.

Come racconta il protagonista in prima persona, «da marinaio ho vissuto la mia avventura più esaltante, che a conti fatti è stata anche la più umiliante, quella che ha segnato per sempre la mia vita». Cristoforo Colombo è accusato di essersi impadronito indebitamente dei diecimila pezzi d’oro della Corona spagnola e Rodrigo rischia anche di essere accusato di empietà; per questo ora vuole uccidere Colombo e, per farlo, non esita a diventare soldato e disertore, ladro, tenutario di bordelli, musulmano.

Ne deriva un racconto intricato, ma solidamente calato nel contesto storico del tempo: gli ultimi anni della Reconquista, il regno di Ferdinando e Isabella, la caduta di Granada (ultimo baluardo moro nella penisola iberica), le persecuzioni razziali, l’Inquisizione, le guerre, le esplorazioni, le avventure picaresche, ecc.

P.S.:

  1. Oggi Rodrigo de Triana è ricordato da un monumento nella sua Siviglia; è opera dello scultore José Lemus Garcia e si trova in calle Pagés del Corro.
La statua di Rodrigo de Triana a Siviglia

2. L’avvistamento della costa delle Bahamas da parte di Rodrigo de Triana fu testimoniato da un marinaio imbarcato sulla Pinta, Francisco Garcia Vallejo, che – interrogato da un procuratore nel 1515 – dichiarò : «Quel giovedì notte la luna si chiarì e un marinaio chiamato Juan Rodríguez Bermejo, abitante a Molinos, Siviglia, come la luna si rischiarò, da bordo della nave di Martín Alonso Pinzón vide una testa bianca di spiaggia, alzò gli occhi e vide la terra, e subito urlò come un tuono “Tierra! Tierra!».

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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