Domani, 3 gennaio, ricorre il settantesimo anniversario dell’inaugurazione della televisione italiana. Le trasmissioni della RAI iniziarono infatti domenica 3 gennaio 1954 e l’evento fu così annunciato sul “Radiocorriere TV” n. 1 di quella settimana da Salvino Sernesi, che era allora il direttore generale della RAI: «Alla fine dell’anno decorso intitolai un mio articolo “1953, anno della televisione”, ed oggi la televisione è nata. O meglio, è nata già da tempo ma riceve oggi la sua consacrazione battesimale. Tralascio, per un momento, di ricordare le esperienze che nel campo della televisione furono compiute nell’anteguerra: esperienze peraltro di grande importanza per lo sviluppo dei successivi studi. Voglio rifarmi a precedenti più prossimi. A quando cioè – mentre eravamo in pieno fervore per realizzare una nuova e più ampia rete radiofonica e ci accingevamo a dare alla intelaiatura dei programmi una veste diversa e più rispondente alle aspettative del pubblico – ponevamo già mente alla urgenza ed alla importanza della televisione. Furono dapprima orientamenti preliminari per identificarne gli aspetti tecnici, artistici e sociali. Dalla fase di orientamento si passò alle prime realizzazioni: sorse nel 1949 il trasmettitore di Torino che servì come effettivo mezzo di studio. Gli si affiancò nel 1952 il trasmettitore di Milano e nacque il primo nucleo destinato a consentire l’avvio nel difficile terreno della realizzazione dei programmi televisivi. Furono queste le premesse indispensabili per iniziare quel lungo periodo di assidui e concreti esperimenti che hanno seguito di pari passo la costruzione della rete dei nove trasmettitori, la quale in questi giorni inizia il suo regolare funzionamento».
Sernesi accennava poi ad alcune polemiche e critiche che stavano accompagnando la nascita del nuovo potente mezzo di comunicazione (nessuno, allora, usava l’espressione “mass media”); evidentemente le forze più conservatrici temevano che la televisione potesse “ridestare” troppo i telespettatori e che diventasse veicolo di chissà quali trasgressioni. Il direttore della RAI allora, con orgoglio, poteva precisare: «La televisione si è affermata rigogliosamente solo negli Stati Uniti di America e con molto minore ampiezza e con molto minor peso in alcuni Stati dell’America Centrale e Meridionale. In Europa è fiorente soltanto in Inghilterra; le altre Nazioni europee sono, per la più gran parte, in arretrato in raffronto alla nostra attuale attrezzatura ed efficienza. L’Italia quindi non viene buona ultima, come da taluni si afferma. La Rai ha, anzi, affrontato lo studio del problema proprio nei momenti in cui tutte le sue energie erano prese dal prevalente peso della ricostruzione e dell’ampliamento della rete radiofonica e del contemporaneo miglioramento dei programmi. È passata quindi a svolgere a fondo tutto un vasto ciclo di esperienze ed ha realizzato una rete di trasmettitori televisivi a tempo di primato. E questa rete già copre una parte notevole del Paese, è in grado di servire circa il 50% della popolazione totale, consentendo di raggiungere quell’intento d’immediata diffusione visiva di avvenimenti lontani che costituisce il lato più affascinante di questo nuovo mezzo di comunicazione col pubblico».
Sernesi infine esprimeva alcune considerazioni sicuramente corrette e quasi profetiche: «La televisione completerà certamente il desiderio di conoscere, di vedere che è insito nell’uomo moderno; renderà più completa la sua casa, ma non mortificherà quel bisogno sempre vivo dello spettacolo pubblico, qualunque esso sia, che risponde ad una esigenza insopprimibile dell’anima umana».
A dieci anni di distanza, Sergio Pugliese (che dal 1953 era stato scelto per dirigere i programmi televisivi) pubblicò sul “Radiocorriere TV” n. 1 del 1964 un interessante articolo che ripercorreva quel decennio a partire dalla mitica giornata del 3 gennaio 1954.
Anzitutto veniva ricordata la programmazione di quel giorno: «Tre gennaio del 1954, primo programma della Tv ufficiale, del servizio regolare. Il “Radiocorriere” metteva in bella evidenza i programmi di questa serata inaugurale davanti alla TV: 20,45 Telegiornale; 21,15 Teleclub; 21,45 “L’Osteria della posta” di Carlo Goldoni. Interpreti Isa Barzizza, Leonardo Cortese, Adriano Rimoldi, Renato De Carmine, regia di Franco Enriquez; 22,45 Settenote; 23,15 La domenica sportiva».
Subito dopo Pugliese racconta dettagliatamente i retroscena della nascita della TV in Italia: «Quanti erano gli spettatori di questo programma, che doveva dar l’avvio alla “passione” televisiva degli anni successivi? Nessuna cifra è certa, poiché non esistevano schedari d’abbonati. Con approssimazione si può dire: ventimila televisori a Torino, Milano e Roma. Erano i primi fanatici che avevano voluto seguire le trasmissioni sperimentali dagli Studi pilota di Torino e Milano. S’erano infatti incominciati i primi esperimenti nel settembre del 1949, nello Studio ricavato in un angolo d’un grande cortile in Via Montebello, ingombro ancora delle macerie d’un bombardamento che aveva distrutto il prospiciente vecchio Distretto Militare e il Teatro di Torino. I tecnici si familiarizzavano con le apparecchiature arrivate da poco dall’America e una ventina d’invasati s’ostinava a provare le prime inquadrature, gli effetti di luce. la resa dei colori scenografici, le intonazioni di voce degli attori, che con abnegazione si sottoponevano a questi primitivi balbettanti esperimenti. Nessuno, tranne chi scrive queste note e che s’era documentato sommariamente in un viaggio di studio negli Stati Uniti, aveva prima d’allora visto un’immagine di televisione, ma dove mancava l’esperienza si cercava di sopperire con il fervore e l’invenzione. Una babele organizzatissima. E malgrado tutto si aveva il coraggio fin d’allora, tra quei bluastri e evanescenti fantasmi, di parlare d’una nuova tecnica di espressione, della nuova estetica televisiva. Beata e costante incoscienza dei pionieri, cercatori infaticabili di pagliuzze d’oro tra le sassaie d’un torrente. Intanto a Milano si costruiva il grande studio numero 3 (i primi due erano piccoli studi radiofonici adattati per la TV) dal quale si sarebbero irradiate le trasmissioni più complesse, che già impegnavano attori illustri e registi già preparati ai nuovi compiti».
Il miracolo fu immediato e straordinario; il cambiamento sociologico e culturale operato dalla televisione nel nostro Paese fu davvero epocale. Pugliese racconta: «Un anno dopo le strade si sarebbero fatte deserte, le sale cinematografiche vuote, i casigliani [cioè “i vicini di casa”] avrebbero invaso il salotto del coinquilino possessore d’un luccicante televisore per assistere ai fasti del protoquiz “Lascia o raddoppia?” e le antenne sui tetti si sarebbero contate presto a centinaia di migliaia. L’Italia occupò subito uno dei primi posti in Europa per diffusione della TV. […] Prima della televisione, per larghi strati della popolazione la conoscenza del mondo si chiudeva nel breve giro delle sue dirette esperienze, assai sovente limitate a quelle del piccolo agglomerato di case in cui viveva C’erano, sì, il cinema e la radio, ma il primo si limitava a presentare degli spettacoli e delle finzioni particolari, e la seconda offriva dei semplici suggerimenti che l’ascoltatore doveva integrare con la sua diretta partecipazione e la sua fantasia. La TV ha offerto invece, con estrema facilità, la possibilità di tutto conoscere e tutto vedere concretamente, quasi con una fisica presenza dello spettatore agli avvenimenti più lontani e disparati. La televisione ha spezzato così per milioni di uomini, il cerchio chiuso dell’isolamento».
Con parole quanto mai sagge ed ispirate (che appaiono oggi quasi stridenti con la realtà cui ormai siamo abituati) Pugliese sottolineava poi come la citata “svolta epocale” aumentasse enormemente le responsabilità di tutti coloro che erano preposti a guidare e realizzare le trasmissioni televisive: «Il compito è difficile e complesso, data la varietà e la eterogenea composizione del pubblico che assiste alle trasmissioni. Non è sufficiente perciò allestire programmi d’alto livello per fare della buona televisione. La TV, per non smentire se stessa e per essere vitale, non deve mai perdere il contatto con le masse. È un istrumento di divulgazione a carattere popolare, che deve purtuttavia informare e interessare anche gli strati più evoluti della popolazione. Parrebbe, a prima vista, un problema insolubile, eppure si tenta da dieci anni di risolverlo sera per sera, programma per programma. Il compito più difficile del programmatore è quello di fissare con precisione nella propria mente e in quella di tutti i collaboratori quale sia il pubblico a cui ci si rivolge con una determinata trasmissione. Niente è più pericoloso e nocivo che non avere idee chiare in questo delicatissimo compito. Ogni programma deve avere il suo fine preciso e rivolgersi direttamente ad una determinata parte dell’utenza. La peggior cosa è mescolare nella stessa trasmissione velleità cerebrali e forme spettacolari semplici e popolaresche. Si deve invece, un passo dopo l’altro, indirizzare masse sempre più grandi di pubblico verso trasmissioni di spettacolo, d’informazione, di documentazione di tono sempre più elevato, senza pretendere però che da un giorno all’altro la gente preferisca il difficile al facile, ciò che essa aborre invece di ciò che essa ama. Il gusto non si impone, bisogna formarlo grado a grado. I nostri uffici d’indagine e di statistica ci dicono che percentuali sempre più grandi di spettatori oggi seguono trasmissioni impegnate di documentazione, di divulgazione scientifica, letteraria, artistica. I classici della letteratura drammatica, le illustrazioni di avvenimenti politici, sociali e storici interessano e sono seguiti e capiti da un numero sempre più alto di spettatori, mentre alcuni anni fa sollevavano clamorose proteste. Se tutto questo è vero, se il fenomeno continuerà nel tempo, soltanto allora noi avremo la speranza di aver dedicato questi dieci anni della nostra vita ad un’impresa non vana, tale da giustificare tutti i nostri sacrifici e tutti i nostri errori».
Ecco infine l’immagine emblematica che il “Radiocorriere” del 1954 metteva a pag. 3, accompagnata dalla didascalia: «Nel cielo di Roma l’antenna TV di Monte Mario svetta non molto lontano dalla cupola di Michelangelo. Due epoche, due mondi, una sola civiltà». Un po’ di retorica, forse, in quel momento “storico”, non guastava…
P.S.: Il Secondo Programma della RAI-TV esordì il 4 novembre 1961; ecco la pagina dedicata all’evento sul “Radiocorriere TV”.