Fra i rappresentanti della cosiddetta “scuola genovese”, che annoverò interpreti straordinari come Bruno Lauzi, Gino Paoli, Fabrizio De André e Luigi Tenco e che rinnovò radicalmente la musica leggera italiana, ce n’era uno, Umberto Bindi, che forse è meno noto alle giovani generazioni; proprio per questo credo sia opportuno ricordarlo, a quasi ventidue anni dalla sua scomparsa, per rendergli un doveroso omaggio.
Bindi era nato a Bogliasco, a pochi chilometri a est di Genova, nel 1932; di carattere schivo ed introverso, nutrì da sempre un amore profondo per la musica: studiò, fin da giovanissimo, il pianoforte e ottenne il diploma al conservatorio. La sua prima canzone, “T’ho perduto”, risale al 1950.
A vent’anni, Bindi conobbe Gino e Bruno Lauzi, dei quali divenne amico fraterno. Grazie a Paoli avvenne la prima svolta nella carriera di Bindi, con il passaggio alla Ricordi; il suo nome iniziò a diventare noto nel 1958, quando scrisse la musica per il brano “I trulli di Alberobello”, presentato al festival di Sanremo (con poco successo) dal Duo Fasano con Tonina Torrielli e da Aurelio Fierro con il Trio Joyce.
Molto più fortunata fu la successiva canzone, “Arrivederci”, composta nel 1959 con il paroliere Giorgio Calabrese (anche lui genovese). Era il racconto della fine di una storia d’amore, una fine però serena, senza lacrime, in amicizia, “da buoni amici sinceri”, fingendo di lasciarsi “soltanto per poco”: «Arrivederci. / Dammi la mano e sorridi / senza piangere. / Arrivederci. / Per una volta ancora / è bello fingere. / Abbiamo sfidato l’amore / quasi per gioco / ed ora fingiam di lasciarci / soltanto per poco. / Arrivederci. / Esco dalla tua vita. / Salutiamoci. / Arrivederci. / Questo sarà l’addio, / ma non pensiamoci. / Con una stretta di mano / da buoni amici sinceri / ci sorridiamo per dir / arrivederci. / Arrivederci».
La canzone fu incisa da Marino Barreto jr, che all’epoca spopolava nei night-club; ma poi la interpretò lo stesso Bindi, esordendo come cantante. Quello che non fu detto, e che non poteva essere detto nell’Italia di allora, era che “Arrivederci” celebrava un amore omosessuale; Bindi però non volle (e non poté) replicare alle prime voci di dissenso moralistico che si levavano contro di lui.
Nel 1960 uscì il suo primo 33 giri (“Umberto Bindi e le sue canzoni”); contemporaneamente, mandò a Sanremo un’altra canzone su testo di Calabrese, “È vero”, che fu interpretata da Mina e Teddy Reno ed ebbe molto successo, anche per il messaggio positivo che presentava: «È vero, è vero, è vero, è vero, / è vero, amore, è vero / esistono gli angeli. / Io credo ai miracoli. / Ognuno mi stende la mano, / ognuno mi offre una rosa; / è strana la folla e ogni cosa / è bella con te. / È vero, amore, è vero / mi sento rivivere. / Il mare il cielo e il sole / è tutta una musica. / Ho l’anima piena di luce, / io amo, io sono felice, / è vero miracolo è vero, / amore sei tu».
A questo punto, grazie alla crescente notorietà, Bindi poté permettersi di seguire più fedelmente la sua più reale e profonda ispirazione; fu così che, sempre nel 1960, interpretò “Il nostro concerto” (sempre su testo di Calabrese), in cui ebbe modo di evidenziare la sua raffinata preparazione musicale “classica”: tra le sue fonti d’ispirazione, c’era infatti il Concerto n. 2 di Rachmaninoff; in particolare, risultò insolita l’introduzione strumentale di ben 70 secondi, in cui l’autore dimostrava come musica leggera e composizione orchestrale potessero convivere strettamente ed efficacemente.
Marco Castoldi (universalmente noto come “Morgan”), che è uno degli interpreti italiani più preparati a livello musicale, ha analizzato benissimo questa complessa prefazione orchestrale in una sua reinterpretazione del brano, definendola “un minuto di musica complicatissima” con “accordi dissonanti”, con influssi da Debussy e dalla musica romantica, con un accordo di settima diminuita e una scala cromatica discendente: infine l’orchestra attacca il trascinante tema principale.
Il ritornello de “Il nostro concerto” divenne notissimo anche all’estero: «Ovunque sei, se ascolterai, / accanto a te mi troverai. / Vedrai lo sguardo che per me parlò / e la mia mano che la tua cercò. / Ovunque sei, se ascolterai, / accanto a te mi rivedrai. / E troverai un po’ di me / in un concerto dedicato a te».
Il brano ottenne un enorme successo anche commerciale: fu il 45 giri più venduto del 1960, insieme con “Il cielo in una stanza” (interpretato da Mina); fu eseguito da numerosi altri cantanti, fra cui Peppino Di Capri, Miranda Martino, Caterina Valente e Jimmy Fontana.
Come ha dichiarato il cantautore cuneese Ernesto Bassignano (detto “Bax”), suo amico e collaboratore, «Umberto era anomalo e diverso sempre da tutto e tutti; perciò ha un ruolo a parte, anche rispetto ai cantautori della scuola genovese. Lui era un musicista da conservatorio. De Andrè, Paoli, Lauzi (che per lui scrisse la splendida “Io e il mare”) erano cantautori folk e pop. Bindi invece aveva l’urgenza vitale di scrivere testi da musicare, era un pittore della composizione che usava lo spartito su cui dipingeva le sue note».
Tuttavia, parallelamente al successo di Bindi, crescevano anche le voci malevole sulla sua omosessualità, che egli non volle mai smentire (dimostrando, per i tempi, un coraggio e una coerenza non comuni).
Ma un episodio avvenuto nel 1961 provocò un radicale ostracismo nei suoi confronti e l’allontanamento dalla televisione italiana: il cantante genovese si era presentato a Sanremo con “Non mi dire chi sei”, sempre su versi di Calabrese; ma i giornalisti, più che sulla bellezza della melodia, si concentrarono sul vistoso anello d’oro con brillantino che Bindi indossava, ritenuto prova evidente ed esibizione “sfacciata” della sua “diversità” (all’episodio è dedicato un recente libro di Ferdinando Molteni, “L’anello di Bindi. Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 a oggi”, ed. Vololibero, 2023).
Ostracizzato dalla RAI, Bindi proseguì ugualmente la sua produzione artistica, che culminò nel 1963 nella composizione di “Il mio mondo”, una delle più belle canzoni della musica leggera italiana.
Il bellissimo testo, composto da Gino Paoli, descrive un amore “totalizzante”, in cui la persona amata diventa motivo, conforto e ispirazione di tutta una vita; contemporaneamente, la melodia composta da Umberto Bindi raggiunge un’ampia ariosità e una viva passionalità.
Ecco il testo della canzone: «Il mio giorno è cominciato in te, / la mia notte mi verrà da te. / Un sorriso ed io sorriderò, / un tuo gesto ed io piangerò. / La mia forza me l’hai data tu / ogni volta che hai creduto in me. / Tu mi hai dato quello che / il mondo non mi ha dato mai. / Il mio mondo è cominciato in te, / il mio mondo finirà con te. / E se tu mi lascerai / in un momento io morirò».
“Il mio mondo”, eseguito dalla cantante inglese Cilla Black col titolo “You’re my world”, restò per oltre tre mesi in testa alla Hit Parade inglese e fu poi cantato da interpreti famosi come Dionne Warwick, Tom Jones e Shirley Bassey, ottenendo un successo mondiale.
Sempre escluso dalla televisione, Bindi continuò a comporre nuove canzoni; fra queste “La musica è finita”, che compose con Nicola Salerno (in arte “Nisa”) e Franco Califano, ebbe un enorme successo nell’interpretazione di Ornella Vanoni” (1967).
Nel 1972 uscì l’album “Con il passare del tempo”, con arrangiamenti di Bill Conti; la prima canzone dell’LP, “Io e la musica”, benché su testo di Lauzi, si può considerare espressione sincera dell’animo di Bindi: «Il vento che correva su Genova / soffiava nella mia fisarmonica; / nasceva piano la mia musica / e dentro al cuore solitudine, / com’ero io, com’ero io. / Così diverso per l’abitudine / di raccontare tutto alle nuvole / sopra un cortile senza alberi / il mio concerto se ne andava via, / da casa mia, volava via. / Giorni di favola e poi / la luce terminò / e – come fu non so – / io mi ritrovo qui. / Un vento freddo volta le pagine / di questa storia senza miracoli; / ricordo ancora i giorni inutili, / gli errori fatti e perdonati mai. / Ma c’era lei, la musica. / Giorni più amari che mai, / nessun amico che / credesse ancora in me, / ma adesso sono qui / e credo in me, / in quello che ho, / con una cosa in più, / l’amore. / D’accordo, è poco / in questo mondo che / non crede più».
Nel 1975 Bindi vinse il Premio Tenco, importante riconoscimento alla carriera di artisti che avevano dato un contributo importante alla canzone d’autore in Italia e all’estero. Fu l’ultimo successo: iniziò infatti da quel momento per Bindi un lento, amaro e inarrestabile declino.
Una delle cause scatenanti di questa involuzione fu la tragica perdita della madre, che nel 1975 restò uccisa da un colpo di fucile sparato accidentalmente da un conoscente, mentre Bindi era lontano per lavoro, in una villa affittata a Rocca di Papa vicino Roma.
In seguito alla disgrazia Bindi, che era legatissimo alla madre, subì un crollo psicologico, accumulando debiti e ricorrendo spesso agli usurai. Provato dal dolore, travolto da insinuazioni e critiche, Bindi si ridusse, per vivere, a suonare nei locali notturni e ad esibirsi nei ristoranti e sulle navi da crociera.
Anche se gli furono dedicati alcuni tributi occasionali (nel 1985, ad esempio, uscì l’album “Bindi”, in cui artisti importanti come Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Antonella Ruggiero e Fiorella Mannoia eseguirono le sue più celebri canzoni), la ruota della fortuna non girò più dalla sua parte.
Invitato al Maurizio Costanzo show, nel 1988, Bindi (fra le lacrime) per la prima volta dichiarò esplicitamente come la sua omosessualità avesse causato la sua emarginazione dal mondo dello spettacolo. Nonostante l’attenzione suscitata dalla sua testimonianza, la sua nuova canzone “C’è voluto tempo” fu esclusa da Adriano Aragozzini dal Festival di Sanremo; le furono preferiti pezzi di valore artistico nettamente inferiore, come “Il babà è una cosa seria” di Marisa Laurito e “La fine del mondo” di Gigi Sabani…
Negli anni successivi, Bindi compose altre canzoni, che però non ebbero successo; partecipò un’ultima volta al Festival di Sanremo nel 1996, con la canzone “Letti”, composta con Renato Zero ed eseguita con il gruppo dei New Trolls (genovesi anche loro); ma il motivo fu un flop e si classificò all’ultimo posto.
Negli ultimi anni, la decadenza di Bindi fu drammatica e impietosa: Bassignano racconta amaramente quegli anni, caratterizzati da “tentativi sanremeschi falliti”, “concertini sfigati con quattro spettatori in sala” e “prestiti e crediti con ogni tipo di cravattaro”.
Bindi stesso dichiarò in un’intervista a Mario Luzzatto Fegiz per “Il Corriere della Sera” (10 aprile 2002), dichiarò sinceramente: «Io sono solo un cantante, autore abbastanza famoso, che è rimasto senza soldi e senza salute. Senza soldi sicuramente per colpa mia. Perché sono una cicala, non una formica».
In effetti si era ridotto in povertà, tanto che Gino Paoli nell’aprile 2002 lanciò su “Il Messaggero” un appello per fargli ottenere i benefici della legge Bacchelli a sostegno degli artisti.
Troppo tardi: il vitalizio fu concesso, ma Bindi intanto morì per una crisi cardiaca all’ospedale Spallanzani di Roma, il 23 maggio 2002. Oggi riposa, accanto alla madre, nel cimitero comunale di Bogliasco.
Nel 2014 Gino Paoli, al Festival di Sanremo, esibendosi come ospite, rese omaggio alla memoria dell’amico e collega scomparso, cantando “Il nostro concerto” e definendo Bindi “un uomo gentile, buono e un grande artista”, che però era stato “massacrato, deriso, umiliato e poi dimenticato”.
A distanza di tanti anni, nel contesto odierno, la figura di Bindi merita sicuramente di essere “riscoperta” anche dai giovani; e basterà, per accostarsi a lui, ascoltare su Youtube “Il nostro concerto” (al link https://www.youtube.com/watch?v=grDlxUTKQt8) e, nella versione originale del 1963, la sua interpretazione di “Il mio mondo” (https://www.youtube.com/watch?v=f-FPwUon2rs).