Il lapidario epigramma di Callimaco A.P. VII 453 mostra in tutta la sua tragicità la costernazione di un padre, Filippo, che ha perso il figlio di dodici anni, Nicotele:
Eccone il testo con una mia traduzione:
Δωδεκέτη τὸν παῖδα πατὴρ ἀπέθηκε Φίλιππος
ἐνθάδε, τὴν πολλὴν ἐλπίδα, Νικοτέλην.
“Aveva dodici anni suo figlio. Suo padre Filippo lo seppellì
qui. Era tutta la sua speranza, Nicotele”.
La collocazione iniziale dell’aggettivo δωδεκέτη “dodicenne” esprime drammaticamente la crudeltà di questa morte prematura; l’accostamento allitterante παῖδα πατήρ potenzia il vincolo affettivo fra il padre disperato e il figlio perduto; l’avverbio ἐνθάδε “qui”, in enjambement, presenta l’immagine atroce del sepolcro, ove è stata seppellita la “grande speranza” del padre.
In questo componimento, Callimaco mostra una sensibilità ed una potente espressività che fanno giustizia di tutte le frettolose asserzioni sulla sua “freddezza” e sulla sua imperturbabile oggettività; e la potenza icastica di quell’ἀπέθηκε (“ha sepolto”) costituisce il centro ideale del distico, esprimendo molto più del semplice valore semantico del verbo: con il figlio, Filippo ha “sepolto” tutta la sua vita.