Nei primi due decenni di vita, la televisione italiana proponeva immancabilmente, il venerdì, una serata di prosa.
L’appuntamento con il teatro, per il pubblico della Rai, fu un appuntamento fisso, tutti i venerdì sera, fino agli anni ’70. Addirittura il primo giorno di trasmissioni televisive, domenica 3 gennaio 1954, alle 21,45 era andata in onda una commedia di Goldoni, “L’osteria della posta”, con Isa Barzizza, Leonardo Cortese e Renato De Carmine, per la regia di Franco Enriquez. Come si leggeva sul “Radiocorriere TV” n. 1 della settimana 3-9 gennaio 1954, «L’apertura in Italia dell’esercizio televisivo ha luogo, come manifestazione d’arte, sotto il segno di Goldoni. Questo riferirsi alla nostra migliore tradizione teatrale, al nostro più confidente e fantasioso autore per dar vita, proprio al suo sorgere, ad una nuova forma di spettacolo, vuole essere raccordo di civiltà. Il mezzo televisivo deve attingere ai precedenti modi di arte, adeguarli magari alle proprie necessità ed esprimere il compiuto progredire della cultura».
Come scrive Marianna Masselli «L’avvento del mezzo televisivo, vissuto inizialmente in un’ottica di ampliamento delle capacità di comunicazione su larga scala, si voleva fenomeno di avvicinamento, ponte possibile della divulgazione culturale, attraverso cui traghettare o su cui incontrare anche quelle fasce della popolazione escluse o non abituate alla frequentazione dei luoghi o alla riflessione sui lemmi della cultura. La riunione davanti al televisore, a fronte della presenza di solo uno o due canali di trasmissione (il terzo arriva nel 1979), andò a ridefinire un rito comunitario ove la restrizione spaziale in chiave domestica corrispondeva tuttavia ad una amplificazione della fruizione in grado di rendere conosciute, in alcuni casi quasi familiari, figure e opere altrimenti inaccessibili, consentendo agli artisti di potenziare la gittata di alcuni lavori» (“Il Teatro e la TV, quando in Rai si faceva la storia” (https://www.teatroecritica.net, 22.04.2020).
Per quasi vent’anni il venerdì sera sul programma Nazionale (attuale Rai Uno) era la serata della prosa, così come la domenica andavano in onda i grandi sceneggiati, il martedì i film, i giovedì i telefilm, il sabato gli spettacoli di varietà. Diventarono così popolari i volti di molte grandi attrici e grandi attori, formatisi nelle nostre accademie teatrali: Cesco Baseggio, Warner Bentivegna, Tino Carraro, Ferruccio De Ceresa, Rossella Falk, Sarah Ferrati, Turi Ferro, Vittorio Gassman, Nando Gazzolo, Massimo Girotti, Raoul Grassilli, Anna Maria Guarnieri, Carlo Hintermann, Giulia Lazzarini, Alberto Lupo, Elsa Merlini, Valeria Moriconi, Gastone Moschin, Salvo Randone, Giancarlo Sbragia, Paolo Stoppa, Aroldo Tieri, Romolo Valli, Franco Volpi, giovani emergenti come Gigi Proietti, ecc.
Negli anni Settanta i gusti cambiarono, nacque la concorrenza delle televisioni private, vennero meno moltissime grandi attrici e attori di prosa che avevano costituito un richiamo per gli spettatori; la prosa allora, così come la lirica, fu sempre più confinata in seconda serata, se non addirittura cancellata dai palinsesti.
Per fare soltanto qualche esempio di quelle serate di prosa, prenderemo in esame un periodo del 1964, esattamente sessant’anni fa.
Era allora direttore generale della RAI Ettore Bernabei (1921-2016), di salda fede filogovernativa democristiana, cui va assegnato il merito di aver prodotto e trasmesso programmi di alto livello culturale, tratti da capolavori letterari (“Odissea”, “I Miserabili”, “Mastro don Gesualdo”, “La cittadella”); a queste scelte encomiabili si affiancava peraltro un moralismo bigotto intransigente che induceva spesso a censure spietate e ridicole.
Esaminiamo dunque la programmazione televisiva dei venerdì di novembre e dicembre 1964, per renderci conto delle scelte della rete Nazionale.
Venerdì 6 novembre 1964 fu trasmesso un atto unico della scrittrice e drammaturga americana Susan Glaspell, intitolato “Inezie”. Era un breve “giallo” in cui un misterioso delitto (un uomo strangolato nel proprio letto accanto alla moglie, che dice di non essersi accorta di niente) veniva risolto da due amiche della donna. La regia era di Anton Giulio Majano (1912-1994, di Chieti), famoso per aver diretto numerosi sceneggiati di grande successo (“La cittadella” in quello stesso 1964, “David Copperfield” nel 1965, “La freccia nera” nel 1968, “Marco Visconti” nel 1975, ecc.).
Venerdì 13 novembre fu la volta di “L’incontro”, originale televisivo di Mario Rigoni Stern (il celebre scrittore di Asiago, autore de “Il sergente nella neve”, 1953). Lo sceneggiato era ambientato «sull’apocalittico sfondo invernale della grande pianura russa, nei giorni tragici della ritirata sul fronte del Don»; in questo contesto, «tre soldati si trascinano in mezzo alla neve, ansiosi di ricongiungersi alla propria colonna, incamminata verso occidente. Debbono guardarsi dalle fucilate dei partigiani, dall’aviazione, dall’improvviso irrompere dei carri armati, che tutto travolgono. Ed hanno un altro, insidioso nemico, da cui guardarsi: la nuova, interminabile notte che sta per avvolgerli» (dal “Radiocorriere TV” n. 46 dell’8-14 novembre 1964). Nella lunga notte russa Marco, uno dei tre soldati, veniva confortato da un contadino, Piotr Ivanovic, che si rivelava in realtà un alpino disperso nella precedente guerra mondiale e rimasto in Russia dopo la prigionia in Siberia. Nei ruoli principali erano Alberto Terrani (Marco) e Antonio Battistella (qui nella parte di Piotr, ma allora ben noto per aver interpretato il cinico oste Thénardier nei “Miserabili” trasmessi in Tv in quello stesso 1964).
Venerdì 20 novembre 1964 andò in onda un originale televisivo per la serie “Vivere insieme”. Questa serie “constava di singoli episodi indipendenti in puntata unica: erano “teledrammi” recitati apposta per la televisione, che affrontavano tematiche familiari e attuali; al termine di ogni episodio, seguiva un dibattito moderato da Ugo Sciascia, docente di Psicologia Sociale; in tutto furono girati 88 episodi, che andarono in onda fra il 1962 e il 1970.
Quella sera l’originale televisivo era “Il passo più lungo”, dello scrittore leccese Gino De Sanctis. La trasmissione iniziò, insolitamente alle 21,30 (che adesso è l’ora normale di inizio dei programmi di prima serata, ma allora era un orario “tardo”); la colpa era di una “Tribuna elettorale” anticipata alle 21, con una “conversazione” fra Mariano Rumor (segretario della DC) e Luigi Longo (segretario del PCI).
Tema della commedia era la vendita a rate (che in quel periodo stava cominciando ad affermarsi); nella tipografia di un grande giornale, alcuni personaggi discutono del “passo più lungo” della gamba, cioè «la rischiosa avventura delle rate a lunga scadenza», con un lacerante interrogativo di fondo: «È meglio sacrificarsi e mettere da parte per il domani, o è piuttosto preferibile lasciarsi andare nel vortice allettante delle comodità prospettate dall’incessante carosello pubblicitario?»; come si vede, un tema quanto mai attuale in quegli anni ruggenti del “boom” economico.
Venerdì 27 novembre 1964 fu trasmesso un grande classico del teatro italiano, “I Rusteghi” di Carlo Goldoni, con il grande Cesco Baseggio (1897-1971) nella parte di Lunardo; Baseggio curava anche la regia teatrale della commedia. Lo spettacolo durava 1 ora e 45 minuti, anche perché era venuta meno l’ingombrante presenza della “Tribuna elettorale” (la precedente domenica 22 si era votato per le elezioni amministrative in quasi tutta Italia).
Venerdì 4 dicembre 1964 toccò a “La provvidenza e la chitarra”, tratto da un racconto di Robert Louis Stevenson (nella riduzione di Belisario Randone); la regia era di Mario Landi (altro regista celebre in quegli anni, sia per gli allestimenti delle opere teatrali sia per alcuni spettacoli musicali, come “Un disco per l’estate”).
Sulla trama ecco alcune indicazioni del “Radiocorriere TV” (n. 49, 29 novembre – 5 dicembre 1964): «Uno sperduto paesino della Francia, di quelli che possiedono a malapena un alberguccio di tre stanze e un caffeuccio di quarta categoria, vede arrivare, ospiti inattesi e pochissimo graditi, due artisti di varietà. Artisti nel significato più ampio e benevolo del termine: Léon Berhelini e sua moglie Elvira, cantanti fantasisti, con accompagnamento di chitarra: due classici esponenti dell’immortale regno di Guittalemme». Nei due ruoli principali, Gianrico Tedeschi e Ileana Ghione; nel cast c’erano anche Giustino Durano e Mario Maranzana.
Ancora una commedia di Goldoni andò in onda venerdì 11 dicembre 1964: fu trasmesso “Sior Todero Brontolon”, ancora con la regia teatrale e l’interpretazione di Cesco Baseggio.
Venerdì 18 dicembre, insolitamente, non andò in onda un’opera di prosa, ma fu trasmessa la seconda puntata di una “miniserie” (come si direbbe oggi), “La vita di Michelangelo”; tuttavia anche questo programma, dedicato a Michelangelo nel quattrocentesimo anno dalla morte, diretto da Silverio Blasi e sceneggiato da Romildo Craveri e Diego Fabbri su soggetto di Giorgio Prosperi, era interpretato da attori di altissimo livello come Gian Maria Volonté (nei panni di Michelangelo), Lydia Alfonsi (Vittoria Colonna), Antonio Battistella, Andrea Checchi, Umberto Orsini, ecc.
Il giorno di Natale nel 1964 cadde di venerdì: ebbene, nonostante il giorno festivo, andò immancabilmente in onda uno spettacolo di prosa; si trattò di “Merluzzo”, due tempi di Marcel Pagnol, per la regia di Alessandro Brissoni, con Turi Ferro nel ruolo del protagonista.
L’argomento era comunque natalizio: il prof. Blanchard, soprannominato “Merluzzo”, durante le vacanze di Natale riceve l’incarico di sorvegliare i ragazzi che sono rimasti in collegio; dapprima “Merluzzo” viene detestato dai ragazzi per i suoi modi bruschi e per il suo aspetto poco attraente; ma la mattina di Natale ogni allievo trova in fondo al letto una piccola strenna che il prof. Blanchard, pur non essendo ricco, ha voluto regalare loro per rendere meno triste a quei ragazzi il Natale passato lontano dalla famiglia.
Alle 22,30, per rallegrare la serata natalizia, seguiva lo spettacolo musicale “Buon Natale con Danny Kaye” (cantante americano allora molto noto).
Ci si potrebbe chiedere se almeno sul secondo canale (unico altro canale allora disponibile) nel giorno di Natale fosse trasmessa qualche trasmissione meno impegnativa. Macché: alle 21,15 fu trasmesso “Gesù mio fratello” di Liliana Cavani, in cui la regista ripercorreva l’itinerario spirituale di padre Charles de Foucauld (1858-1916) nella confraternita dei Piccoli Fratelli di Gesù.
Da questa esemplificazione, emerge come le scelte dei palinsesti fossero ispirate da evidenti direttive culturali, ma anche etiche e politiche; tuttavia la scelta degli autori, dei registi e degli interpreti era sempre oculata, i temi erano in genere interessanti, il livello degli spettacoli molto alto.
Io, che allora avevo solo dieci anni, seguivo la prosa in Tv senza annoiarmi; ma non ero l’unico, perché anche i miei coetanei facevano così. Certo, influiva per noi la mancanza di alternative, tranne quella di andare a letto alle 21 dopo Carosello; ma molti degli attori che vedevamo il venerdì sera ci erano noti grazie anche ai grandi sceneggiati di allora (solo nel 1964 andarono in onda “Mastro don Gesualdo”, “La cittadella”, “I miserabili”, “I grandi camaleonti”) ed eravamo abituati a quegli spettacoli dai ritmi lenti e paludati, alle scene che si svolgevano esclusivamente in interni (o con improbabili fondali di cartapesta per gli esterni), alla recitazione “alta” (e spesso poco realistica perché un po’ caricata e istrionica) di interpreti di altissima professionalità.
Questo avveniva nel 1964. Ora, facendo un balzo di sessant’anni, guardiamo i programmi previsti venerdì prossimo, 6 dicembre 2024, su Rai Uno.
Dopo gli immancabili pacchi del simpatico istoriato Stefano De Martino, alle 21,30 andrà in onda “The Voice Kids”, “talent” presentato da Antonella Clerici, con la colorita giuria formata da Gigi D’Alessio, Arisa, Clementino e Loredana Bertè. Alle 24 (per chi non fosse già crollato dal sonno) sarà trasmesso “TV 7”, settimanale del TG 1.
Certo, fra i Cesco Baseggio e i Turi Ferro del 1964 e i Clementino e i D’Alessio di oggi, i sessant’anni di “gap” si notano tutti. Ma ovviamente nella nostra epoca dominata dall’intelligenza-scema artificiale non sarebbero proponibili trasmissioni culturali come quelle di allora, che risulterebbero veri e propri “pacchi” per le attuali generazioni, abituate (o condannate) a ben altre trasmissioni, a ben altri ritmi, a ben altre soluzioni per passare la serata del venerdì…
Se poi un direttore di una rete Tv più o meno governativa avesse la balzana idea di mandare in prima serata uno spettacolo di prosa, il flop di ascolti sarebbe assicurato; si tratta comunque di un periodo ipotetico dell’irrealtà, perché oggi, per dirigere una rete televisiva, una formazione culturale anche minima costituisce una forte controindicazione se non un impedimento assoluto.