La felicità

E ora non veniteci a dire che ieri sera, ieri notte anzi, è stata solo follia.

Che le migliaia di Italiani che si riversavano nelle piazze senza mascherina sono stati dei pazzi e degli irresponsabili.

Che in fondo era solo una partita di calcio e che undici ragazzi in mutande non meritano un tale enorme incontenibile oceanico irrefrenabile entusiasmo.

Non era follia. Era felicità, allo stato puro.

Lo ha capito bene il quotidiano sportivo francese “L’Équipe” che a fine partita ha titolato immediatamente, in italiano, “La felicità”. Perché questa non è stata una vittoria come le altre.

È stata la vittoria, a lungo repressa, rabbiosa, conquistata con le lacrime agli occhi, di un popolo che ha sofferto e pianto per oltre un anno come mai gli era capitato dopo l’ultima guerra mondiale.

È stata la vittoria di quei 128.000 italiani che hanno perso la sfida con il Covid: anche per loro gli altri si abbracciavano e saltavano e urlavano per le strade e per le piazze.

È stata la vittoria dei nostri lavoratori in Inghilterra, la rivalsa contro le difficoltà (se non le umiliazioni) che troppe volte hanno dovuto subire per guadagnare un pezzo di pane a migliaia di chilometri da casa, contro la Brexit che ha reso difficile se non impossibile per molti la continuazione del loro lavoro.

È stata, anche, la vittoria di un’Europa di cui noi facciamo parte e meritiamo di far parte: che senso avrebbe avuto che vincessero i campionati Europei coloro che dall’Europa sono usciti?

Ieri sera fra le autorità inglesi presenti a Wembley c’erano William e Kate con il piccolo George (bella delusione, mischinello…), dicono ci fosse Boris Johnson (ma non ho visto inquadrare la sua zazzera da inventore pazzo, forse più scapigliata del solito per tutti i diavoli impigliati nei suoi capelli). C’era il nostro presidente Sergio Mattarella, che nel momento della nostra vittoria ha fatto il più grande gesto di esultanza che il suo compassato similbritannico aplomb potesse consentire (ha alzato le braccia di 10’ centimetri e ha fatto un sorrisetto).

Il Presidente Sergio Mattarella a Wembley

È stata la vittoria dell’Italia, il Paese che ha – veramente – inventato il calcio: non era vero lo slogan inglese “it’s coming home”, la coppa non se ne è andata nell’isola che “dice” di avere creato il football, ma è tornata nella nostra Penisola, dove nelle piazze della Firenze rinascimentale i giovani “calcianti” giocavano a pallone seicento anni fa.

È stata, ieri sera, l’esplosione di troppe frustrazioni, la consolazione (magari momentanea e illusoria, ma inimitabile) di troppi dolori, lo sfogo di troppe lacrime: il covid, le terapie intensive, gli hub vaccinali, l’ “andrà tutto bene”, AstraZeneca con le trombosi, Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson & Johnson (zazzeruto premier compreso), i posti di lavoro perduti, la gente disperata, Arcuri e Figliuolo, Conte e Draghi, i banchi monoposto, la DAD, le sanificazioni, le FFP2 eccetera eccetera eccetera.

Ieri sera, all’ultimo rigore parato da San Gigio di Castellammare di Stabia, esplodevano i fuochi d’artificio (come e più che a Capodanno), sventolavano i tricolori, la gente si riversava nelle strade suonando i clacson a festa, un intero Paese diventava un’unica valanga azzurra.

Gigio Donnarumma para l’ultimo rigore: l’Italia è campione d’Europa

E anche io, a Piazza Politeama a Palermo, facendo il confronto con le altre tre vittorie della nostra Nazionale cui avevo assistito (gli europei del 1968, i mondiali del 1982 e del 2006), vedevo un entusiasmo che surclassava quello delle antiche occasioni passate.

L’esultanza dei palermitani a Piazza Politeama

E vedendo centinaia di persone che vivevano la gioia del momento rimuovendo (magari solo temporaneamente) le preoccupazioni e le angosce dell’oggi, non stavo a guardare chi era mascherato e chi no, chi pensasse a “distanziarsi” (la gioia avvicina sempre, non può “distanziare”), chi stesse violando le regole. Una regola dell’uomo è gioire quando c’è da gioire: chi rimprovera la gioia rimprovera la vita.

Alcuni agenti di polizia osservavano sorridendo l’esultanza sfrenata della gente. Un gruppo di ragazzi impazziti di felicità ballava pericolosamente sopra un chioschetto dell’AMAT. I clacson e i popporoppoppò imperversavano, sconosciuti e sconosciuti si salutavano e sorridevano.

E allora non veniteci a dire che era sbagliato, che era esagerato, che era solo una partita di calcio.

Hic et nunc, ora e adesso, siamo campioni d’Europa e non solo perché abbiamo vinto delle partite di calcio: perché questo Paese c’è, conta, vale, sa soffrire e sa ripartire, sa piangere e ridere come nessun altro popolo al mondo.

Lasciateci godere questo istante: ce lo siamo meritato, tutti.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

2 commenti

  1. Grazie Mario, quello che hai scritto interpreta tutti i nostri sentimenti in questo momento di FELICITÀ!
    È vero, ne avevamo proprio bisogno

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