Il coniglio del “numquam effugies”

Fino a pochi anni fa il viandante che, viandando per i corridoi del Liceo “Umberto I” di Palermo (e prima ancora del Liceo “Meli”), fosse capitato alle 7,45 di una qualunque mattina davanti alle classi del prof. Pintacuda, avrebbe potuto scorgere il docente già in classe e accanto a lui, disegnata con il gessetto nell’obsoleta lavagna di ardesia, la buffa immagine di un coniglio, racchiuso all’interno della misteriosa scritta latina NUMQUAM EFFUGIES.

Se il suddetto viandante, attendendo l’arrivo degli alunni, avesse chiesto a uno dei ragazzi (che correvano affannosamente in classe sapendo che “lui” già era arrivato) che cosa significasse quel disegno, così insolito nel sussiegoso ambito del Liceo Classico, forse qualcuno con un sorrisetto avrebbe risposto: “Quello è il leggendario coniglio del Professore Pintacuda” e sarebbe poi entrato in classe dicendo ad alta voce “Buongiorno” (pena prevista per chi non lo facesse era quella di ripetere l’entrata…).

Se il viandante, incuriosito, avesse chiesto ulteriori lumi a ricreazione, i ragazzi forse gli avrebbero mostrato i loro quaderni, con le pagine costellate dalle correzioni del professore e, inevitabilmente, decorate dal famigerato animale con la minacciosa scritta latina.

E conigli avrebbero mostrato nei “diplomi” che l’insegnante assegnava in occasione delle gare di teatro o degli esperimenti di drammatizzazione, conigli avrebbero trovato in alcune comunicazioni scritte personali (come gli “avvisi di precettazione” per gli alunni restii alle interrogazioni), conigli nelle poesie di fine anno: “Ma c’è un modo straordinario / per restar con lo “zio” Mario: / basterà che in un foglietto / disegniate un coniglietto; / e se gli occhi chiuderete, / ecco, allora mi vedrete, / come ai tempi del liceo, / quando avrete settant’anni / e sarete barbagianni, / ricordate con ebbrezza/ questa dolce giovinezza. / Or vi faccio auguri, tanti; / e li faccio a tutti quanti. / Vi rimanga un coniglietto / dentro al cuore, rotondetto, / con la coda riccioluta. / Addio.  Mario Pintacuda”.

A questo punto il viandante avrebbe voluto saperne di più, ma difficilmente i ragazzi (sorridendo maliziosamente) avrebbero aggiunto altro. Dato di fatto inconfutabile era che quei conigli proliferavano, come appunto i conigli devono normalmente fare, dilagavano, erano ineliminabili.

Tuttavia un’altra domanda si poneva, inevitabile: che voleva dire la scritta latina, NUMQUAM EFFUGIES? Allora gli alunni avrebbero detto che significava “NON (MI) SFUGGIRAI MAI”.

Ah, ecco: dunque l’epigrafe era l’emblema del professore “sbirro”, dell’inventore del “bracca bracca” per gli alunni renitenti, del “cacciatore” dei fuggitivi (“chi fugge vuole essere inseguito”). Tutto qui? Beh, forse no. Perché molti di quei ragazzi, soprattutto quando diventavano adulti, uomini e donne in tutti i giorni delle loro vite, avrebbero forse potuto dire, anni dopo, che “lui” voleva dire qualcos’altro con il suo motto: non sfuggirete al ricordo, non sfuggirete – nella vita – ai vostri doveri, non sfuggirete a quello che ho tentato di dirvi in questi anni.

Il coniglietto ha una storia, in realtà.

Io non so disegnare se non, appunto, qualche animaletto che mio padre mi ha insegnato a tratteggiare (oltre il coniglio, il “purpiceddu”, il “pisciteddu”, il “farfadduni”, ecc.).

Ma il disegno del “cunigghiuni” mi è risultato utile una volta e ancora di più lo è stato per una mia alunna di I media, a Bolognetta nel lontano 1984. Era stata definita “portatrice di handicap” e addirittura “autistica”; ma le cose erano più complicate di quanto potesse sembrare.

Era una ragazzina piccola, cui era stata assegnata come insegnante di sostegno una collega caratterizzata da enormi denti da tricheco (la “picciridda” la soprannominò “Scagghiunazza”) e, cosa peggiore, da un carattere impossibile. Tra questa docente e la ragazzina il dialogo era zero e quest’ultima se ne stava in classe muta, triste e con la testa sul banco, tra le braccia.

Allora una volta (dato che “homo sum, humani nil a me alienum puto”) mi sono avvicinato, le ho preso il quaderno, le ho disegnato il famoso coniglione e le ho detto: “Ora fallo tu”.

Lei fece un sorriso radioso, prese l’astuccio e cominciò a disegnare conigli, conigli e ancora conigli, colorati, grossi, piccoli, più o meno grassi, sorridendo sempre. Da quel giorno cambiò; e la stessa “Scagghiunazza” ne fu sorpresa.

Da allora ho ritenuto che quel coniglietto potesse rimanere come portafortuna, per me e per i miei alunni; e fino all’ultimo giorno della mia carriera scolastica ho avuto modo di disegnarlo.

Io, dunque, al coniglio non sono sfuggito; e il fatto che lo ricordi ancora lo dimostra. E credo che anche tanti miei ex alunni se lo ricordino pure… ma se così non fosse, era comunque giunta l’ora di “sfuggirgli”.               

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

9 commenti

  1. Carissimo prof. Pintacuda, sono un suo ex ex alunno del Meli, facevamo greco insieme e non latino: questo un po’ mi è mancato. “Forse non si ricorderà di me” (capita spesso ad un prof, me compreso, di dover sforzare un po’ la memoria dopo questa affermazione…per senso di colpa), ma Le basti sapere che non ero uno dei migliori e di certo non avevo troppa voglia di stare in classe.
    Volevo darLe un’ulteriore delusione, dopo 26 anni circa, affermando che io questo coniglietto non lo ricordo proprio. Forse in effetti non portavo spesso il quaderno, o non mi soffermavo sui piccoli particolari, di certo posso affermare che non lo meritavo e probabilmente non l’avrei capito, anche se la mia interpretazione di Medea in audiocassetta è rimasta quasi nella leggenda della parodia teatrale.
    Per consolarla, però, ricordo moltissime altre cose, battute come “meglio Solone che mal’accompagnatone”, la sua capacità di tenerci a bada con lezioni snelle e verifiche orali continue, la sua professionalità nel farci rispettare la puntualità, a costo di buttare fuori un’intera classe per farla rientrare chiedendo scusa. Insomma, ricordo quanto la sua figura suscitasse stima, a tal punto che mi preparai un’intera notte col mio “compagno di banco” per dimostrarle che anch’io potevo fare un’ottima interrogazione, strappando alla fine solo un 4 e mezzo….ma per me è andato pure bene: compensavo con i 6 allo scritto.
    Un piccolo intervento per dirLe come spesso la memoria non si lega ai dettagli, che noi prepariamo minuziosamente, ma alla più generale trasmissione di un modo di essere.
    Saluti ancora.

    1. Gaetano Conte, nato 19.06.77, III F dell’a.s. 1994/95.
      “Pure Conte è assai tremante, / con quel fare suo implorante; / è garbato ed educato, / ma mi sembra preoccupato; / non giustifica le assenze, / ma neppure le presenze”.
      Nel testo di questa poesia dedicata alla classe, alla fine, troneggiava il coniglietto.
      Te ne manderò copia alla tua mail.
      Intanto, grazie del bel ricordo.
      Un caro saluto
      MP

      1. Grazie mille a Lei, mi ha doppiamente commosso: la prima volta per la pronta risposta ed il ricordo; la seconda volta perché credo di aver inconsapevolmente ereditato la mania di conservare tutto sui miei alunni.
        Girerò la poesia a tutti i compagni, che ormai erano disperati per aver perso l’unica copia in nostro possesso.
        Buon weekend ed un carissimo saluto pieno di affetto e stima da parte di tutta la classe,
        GC

  2. Carissimo professore,
    insieme a Lei anche il Suo coniglio ha un posto nel mio cuore, ed è spesso stato una guida per i miei passi … e così, saltellando qua e là, sono arrivata dove sono, e ci sto bene nella mia vita. Quando mi capita di guardare indietro, non posso trattenere un sorriso pensando ai giorni tra i banchi del Meli, incantata ad ascoltarLa mentre ci raccontava la vita, facendoci innamorare della letteratura greca. Grazie di cuore per essere stato così incredibilmente saggio, attento, scrupoloso, incoraggiante, premuroso, giusto e intransigente, la guida che auguro a mio figlio di incontrare sui suoi passi…che siano sicuri, incerti o saltellanti. Un abbraccio forte.

  3. Carissimo Prof. Pintacuda,
    Sono stato un suo alunno al liceo Meli dal 92 al 95…. Il coniglietto l’ho ricevuto una sola volta ma in un’occasione davvero speciale …. Fui precettato (credo per qualche assenza che Lei definì “strategica”) per un’interrogazione a prima ora (lo specifico perché la prima ora con Lei non era una prima ora qualsiasi … diciamo che incominciava almeno la sera prima 😂) fissata il giorno dopo la mia festa di 18 anni… studiai tutto il giorno… e anche tornando a casa alle 4 di notte in condizioni non proprio ideali…. E mi presentai puntualissimo (inutile dirLe che la trovai già in classe)…. Strappando un 7— o qualcosa di simile non ricordo… quello che ricordo bene è che per nulla al mondo sarei potuto mancare…
    La ricordo con stima e affetto, con la Sua autorevolezza e indubbia capacità di insegnare, che mi è stata sempre più chiara crescendo (in effetti Lei nella poesia di fine anno dedicata alla classe scrisse “che non capivo mai i miei errori… rosso rosso è un po’ agitato…).
    Oggi sono un avvocato stimato e rispettato, la sicurezza che ho acquisito nel tempo è frutto anche dell’avere incontrato Lei nel mio percorso.
    Un caro abbraccio.
    Michele Jeni (III F 1995)

    1. Grazie del ricordo. Direi che avevi iniziato la maggiore età nel modo migliore e più responsabile (ma oggi un prof così sarebbe come minimo considerato uno stalker…). Sono contento di sapere che hai raggiunto una buona posizione e ne sono anche un po’ orgoglioso. Un cordiale saluto MP

  4. Carissimo Prof. Mario,
    mi piace rivolgermi a Lei col Suo solo nome di battesimo, perché tale è il nome di mio papà, un padre con cui Lei ha un bel divario di età ma che, come Lei ha fatto tra i banchi di scuola, mi ha insegnato a sorridere ed a vivere la vita con un po’ di leggerezza, quanto basta a non farsi travolgere dalle tempeste o dal semplice vento contrario che tutti, nella propria esistenza, incontriamo prima o poi.
    A scuola, Lei col suo rituale “Buondì!”, soprattutto quando, in perfetto e svizzero anticipo, si faceva trovare a prima ora già in classe seduto alla cattedra, era per me come un incoraggiante faro luminoso, un punto di riferimento curriculare, erudito ma innanzitutto verace ed umano, ironico e serio al tempo stesso, talora opportunamente serioso ma sempre genuinamente interessato al bene dei Suoi alunni che nel tempo han potuto, tutti ne son sicuro, apprezzare le Sue doti professionali ed umane.
    Non potrò mai dimenticare il Suo affetto nei miei confronti, sentimento che la guidava a scherzare con me che ero ancora personalmente e, data l’età, ovviamente acerbo e forse ancora più serioso di Lei, il quale cercava gentilmente di stuzzicarmi e spronarmi a migliorare, perfino silenziosamente, solamente attuando i Suoi sinceri atteggiamenti e comportamenti di buon padre di famiglia. Non la dimenticherò mai!
    La sua pliniana citazione “Nulla dies sine linea” è diventata per me un preziosissimo mantra che mi guida attraverso la noia di certe giornate, oliando le corde mio cuore e permettendomi di apprezzare della vita l’immancabile bicchiere mezzo pieno.
    È proprio veritiera la celebre frase lionese: “L’essenziale è invisibile agli occhi”.
    Ora io, che sono diventato un assistente sociale e son felice di esserlo, devo anche a Lei la passione per la persona umana e per le sue naturali fragilità (talvolta ostentate in modo interessato ed utilitaristico) ma anche la gioia per la cura della medesima e, cosa ben più importante, Lei mi ha trasmesso un pizzico del suo innato ottimismo. Non smetterò mai di ringraziarLa.
    Un saggio, adesso non ricordo chi, forse il nostro indimenticabile vate girgentino (mi corregga, se sbaglio) diceva, e mi permetto di parafrasare, che gli incontri e quindi le relazioni umane, persino le più apparentemente casuali, ci influenzano, nel bene e nel male. Superfluo dire a quale dei due opposti Lei appartiene nel mio bagaglio interiore.
    Ricordo ancora quando mi accostò ad un “carbonaro”, non posso dimenticarmene, nel momento in cui le comunicai, probabilmente con un volume di voce più basso perché non volevo farmi sentire dai compagni che ci attorniavano, che sarei mancato per qualche giorno in quanto avevo programmato un viaggio con i coetanei della parrocchia che, allora, frequentavo. Quanto ridemmo a casa con mia madre di questa Sua battuta!
    Ci sarebbero ottomila altre cose da dire, ma ho già scritto molto. Solo Le chiederei, presumo Lei visualizzerà il mio indirizzo e-mail anche se non lo trascrivo pubblicamente, sarebbe così gentile da inviarmi la poesia che compose in occasione della mia maturità. Io frequentavo la III D dell’Umberto nell’anno scolastico 2005-2006. È anni che vorrei rileggerla e la custodirei, anche per i posteri che mi auguro di avere, in maniera gelosa.
    Un carissimo saluto e tanti auguri di buone feste natalizie estensibili in famiglia!
    Samuele Torres

  5. Gentile Professor Pintacuda,

    ho imparato, all’inizio con un po’ di fatica, che le sfumature sono importanti, che è importante il percorso ancor prima del traguardo e che “meno” o “meno meno”, apposto ad un buon risultato, prima di essere un giudizio o una diminuzione, può rappresentare un nuovo obiettivo, una sfida a fare meglio, l’indicazione che si può andare più in profondità nelle cose.

    Ho imparato e toccato con mano la possibilità che in un’ora di lezione (che poi durava 50 minuti) si possa fare bene tutto ciò che ci si è prefissati e finire addirittura in anticipo, che basta essere puntuali e organizzati.

    Ho imparato che la cura dell’immagine che diamo di noi stessi è lo specchio della disciplina e della costanza, ma anche dell’attenzione al bello e ai particolari che pure nella quotidianità fanno la differenza e il cui opposto sono la superficialità, la pigrizia, la sciatteria.

    Ho apprezzato lo humor elegante e sottile, a volte un po’ infantile, e per questo ancora più apprezzabile, in un uomo che si mostra tutto d’un pezzo e per noi quasi una “leggenda”.

    “Numquam effuges”, un monito e insieme un modello d’ispirazione, dove il coniglietto, nella mia interpretazione, ha il significato della fragilità e l’umanità di questa corsa.

    Professor Pintacuda voglio attribuirle, insieme ai modelli positivi che ho avuto la fortuna d’incontrare nel mio percorso, parte del merito della mia carriera e della mia vita che reputo soddisfacente.
    A lei in particolare anche la curiosità e la passione per la cultura e il teatro che ho trasferito nel mio lavoro.
    Sinceramente grazie, tanti auguri e buona vita!

    Nadia Ferrigno alias Ferry Boat (junior)
    Sezione F Corso 1992/97
    Liceo Classico G. Meli

Rispondi a Tano Conte Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *