C’era una volta il “papillon”

La cravatta a farfalla o “papillon” si usava un tempo in alternativa alla ben più diffusa cravatta “lunga”.

Il papillon trae origine, presumibilmente, dal fiocco indossato (durante la Guerra dei trent’anni) dai mercenari croati che lo utilizzavano per chiudere la camicia sprovvista di bottoni; i nobili francesi apprezzarono quell’elegante accessorio e lo chiamarono “cravate” (cioè appunto “croato”). Tuttavia non è chiaro se la “cravate” sia stata originariamente “a farfalla” (in francese “papillon”) e abbia generato poi il suo prolungamento (cioè l’attuale cravatta “lunga”) o se, al contrario, sia venuta prima quest’ultima e abbia poi avuto una versione ridotta nel papillon.

Il “farfallino” ha contraddistinto il look di politici del calibro di sir Winston Churchill, che lo riteneva imprescindibile; non fu invece gradito al fascismo, che lo ritenne accessorio troppo “ribelle”.

Esistono due possibili “nodi” del papillon: quello classico (essenziale) e quello a punta di diamante; non è facilissimo realizzarli, per cui spesso i cravattini sono venduti nella versione “prefabbricata” (a Roma nella zona di via Condotti ne ho visto molti esposti).

Quanto alla larghezza del cravattino, la regola generale è che la larghezza del fiocco dev’essere più o meno pari alla larghezza massima che separa gli occhi di chi indossa il papillon.

Oggi il papillon sopravvive nelle serate di gala, abbinata a smoking o frac; qualcuno (esagerando un po’) lo indossa anche per il matrimonio. Ovviamente lo si trova al collo di qualche cameriere, soprattutto nei bar e ristoranti più eleganti e nei ricevimenti.

In realtà però è innegabile che, in un’epoca in cui anche la cravatta “normale” viene sempre più abbandonata (anche in occasioni formali nelle quali era un tempo obbligatoria), ancor peggio va al

 papillon, indossato ormai soltanto da qualche tenace cultore “démodé” o un po’ “dandy”, che vuole dare una nota estrosa di eccentricità al proprio “look”.

Qui a Palermo i “farfalluti” sono stati sempre piuttosto rari. Indossavano la cravatta a farfalla gli artisti e le persone estroverse e creative: lo metteva sempre l’architetto Gianni Carpintieri, caro amico di mio padre e del Maestro Antonio Trombone.

Posso poi dire di vederlo ancora spesso al collo di Carmelo Crimi, uno dei più bravi e famosi sarti palermitani (la sua sartoria nel cuore di Palermo risale al 1970 ed è considerata una delle massime eccellenze sartoriali italiane e non solo), che si aggira spesso nella mia zona con i suoi abiti impeccabilmente e vistosamente eleganti (anche se stridenti con l’attuale imperante trionfo del casual e del kitsch).

Allego due foto “papillonesche” di famiglia.

La prima risale al 1939 e mostra mio padre (a destra, con cravatta normale) e mio zio nonché padrino Nino (che invece sfoggia un elegante papillon); l’occasione era, come leggo nel retro della foto, il matrimonio della zia Rosa Cirrincione.

L’altra foto è del 29 febbraio 1960 e mostra me, bambino di 6 anni, con un bel papillon al collo; bisogna dire però che la mia espressione risulta alquanto perplessa…

Un’altra mia foto con papillon (novembre 1959)

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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