Nell’immenso ed inesauribile archivio di mio padre ho ritrovato una rivista pubblicata a Bagheria nell’ottobre del 1942; si intitola “La nostra parrocchia” e uscì in occasione del “decimo anniversario della erezione canonica della parrocchia del S. Sepolcro in Bagheria”.
La rivista si apre con la benedizione del Sommo Pontefice, papa Pio XII, inviata al parroco del Sepolcro, mons. Domenico Buttitta.
Segue una dedica dell’allora arcivescovo di Palermo, il cardinale Luigi Lavitrano, datata 11 ottobre 1942; in essa il porporato rivolgeva il suo affettuoso saluto ai parrocchiani bagheresi, invitandoli nel contempo a un’attiva e ossequiosa partecipazione alla vita quotidiana della loro comunità religiosa: «Noi ci auguriamo ben di cuore e facciamo voti perché la vita parrocchiale si diffonda sempre più abbondante tra voi e salendo pel tronco e pei rami raggiunga fino le più lontane e più piccole cellule della Parrocchia. Ma ricordate, figliuoli cari: se della Parrocchia il Sacerdote è il capo, la Chiesa il cuore, voi fedeli ne siete le membra. E tanto più vive e attive saranno le membra quanto più strettamente parteciperanno della vita che discende dal capo e viene spinta dal cuore; quanto più docili saranno i fedeli alle direttive del Parroco, quanto più assidui alla chiesa, tanto più rigogliosa si conserverà la vita parrocchiale».
Nelle pagine successive si legge un’interessante “Sintesi del decennio di vita parrocchiale”, con una foto di Mons. Gioacchino Di Leo, vescovo ausiliario e vicario generale di Palermo, che dieci anni prima aveva inaugurato la parrocchia del Sepolcro, “smembrata” dalla Chiesa Madrice per decisione del cardinale Lavitrano.
Vengono quindi presentate minuziose notizie sull’attività parrocchiale nel decennio, svoltasi sotto la direzione del parroco, monsignor Domenico Buttitta: la catechesi agli adulti, le scuole catechistiche parrocchiali, il patronato catechistico, l’opera dell’Adorazione riparatrice e notturna, la Congregazione di Maria SS. Addolorata, l’Apostolato della preghiera, la Lega di perseveranza eucaristica, la Conferenza di S. Vincenzo de’Paoli, l’opera del Bollettino Parrocchiale, l’opera educativa-ricreativa.
Per quanto riguarda quest’ultima, si legge un interessante riferimento all’istituzione di un cinema parrocchiale, che ovviamente presentava «soltanto spettacoli morali, seguendo all’uopo le direttive del C.C.C., il quale non solo segnala le pellicole visibili e quelle da scartarsi, ma anche suggerisce le eventuali correzioni da apportare ad alcune pellicole che pur contengono elementi positivi».
Inutile dire che, per chi ha visto il capolavoro di Peppuccio Tornatore, “Nuovo Cinema Paradiso” (1988), torna in mente la “censura” operata dal parroco don Adelfio (interpretato da Leopoldo Trieste), che in una sua “prima visione assoluta” segnalava all’operatore Alfredo (Philippe Noiret) le scene “da tagliare” (in particolare i baci).
La rivista continua poi la sua minuziosa presentazione delle altre istituzioni parrocchiali: i comitati per i festeggiamenti esterni, il gruppo chierichetti (con la foto di 15 di loro), la borsa di studio “S. Domenico” a favore delle vocazioni sacerdotali, il deposito di oggetti sacri, altre “piccole iniziative” per le Missioni, gli esercizi spirituali e i canti. Molto bella è la foto a pag. 10, che risale al 1938 e presenta la solenne funzione svoltasi nella piazza dell’edificio scolastico “Bagnera”, in occasione del Congresso Eucaristico Interparrocchiale di Bagheria.
Un’intera pagina, poi, presenta le foto degli Uomini e Giovani dell’Azione Cattolica Parrocchiale: la ripropongo nella speranza che qualcuno possa riconoscervi una persona cara.
Alle pp. 11-13 vengono elencate le “opere materiali” effettuate nel decennio 1932-1942: la costruzione del battistero, la pitturazione della chiesa («per opera del nostro valente decoratore sig. Galioto Salvatore, per una somma di lire 5.200»), il rifacimento dell’impianto elettrico («con criterio moderno»), l’organo nuovo «a sistema pneumo-tubolare, con consolle separata e a due tastiere» (realizzato dalla ditta Schimicci di Frosinone e costato lire 25.000), l’ampliamento dell’abitazione del parroco (lire 7.250), il restauro di alcune statue (ad opera del prof. Giuseppe Aiello), l’apparecchio cinematografico Zeiss Ikon (che «ci costò la bella somma di lire 39.600»!), 8 «panche grandi, di pino pece, per il popolo», una grande tovaglia per l’altare maggiore lavorata in oro gratuitamente dalla sig.ra Ninetta Sorci, ecc.
Tutte queste spese, che ammontavano nel complesso a «quasi centottantamila lire», erano state coperte grazie alla «generosità dei fedeli o con le offerte ed elemosine appositamente raccolte lungo il corso di questi dieci anni». In particolare, venivano ringraziati come “speciali benefattori” i signori Vincenzo Scianna, Domenico Buttitta, Francesca Di Salvo ved. Tomasello, il cav. Gaetano La Barbera, Michele Savona e Michele Gagliano.
Alle pagg. 13-21 viene presentata la storia della chiesa del S. Sepolcro, che riporto qui in appendice. Segue una dettagliata relazione sull’attività dell’Azione Cattolica parrocchiale, corredata da numerose foto (ne riporto qui una decina).
Nel resto della rivista, fra l’altro, si trovano: a p. 22 un pensiero “ai nostri cari compagni in armi” (era pur sempre in corso una guerra mondiale!!!); a p. 26 notizie su “contributo del collegio di Maria alla vita parrocchiale”; a p. 27 un omaggio al parroco mons. Buttitta (che nel ’33, a soli 25 anni, era stato uno dei più giovani parroci d’Italia) e un riferimento alla parrocchia di San Pietro a Bagheria, istituita e supportata grazie all’interessamento dello stesso Padre Buttitta; a p. 28 un ricordo di padre Gaetano Raspanti («vero precursore e fondatore della Parrocchia del S. Sepolcro») con la foto del suo funerale nel dicembre 1931; a p. 29 un elenco di “legati e donazioni”; alle pp. 30-32 le opere fatte in ricordo del decennale (la doratura interna del tabernacolo, le nuove pitture, la “via crucis” in legno, il pallio di seta bianca per l’altare maggiore, il seggio per il parroco, l’allungamento del coro, il tappeto domenicale per l’altare maggiore, la nuova pisside, la ripulitura di alcuni quadri settecenteschi ad opera del prof. Giuseppe Aiello, le ampolle per le feste).
Alle pagg. 34-35, si legge il fitto programma dei festeggiamenti per il decennale della parrocchia, che si tennero da domenica 4 a domenica 18 ottobre 1942 (riporto le due pagine per intero); oltre alle cerimonie religiose, vi furono conferenze, concerti, proiezioni, ecc.).
Infine, a p. 36, c’è il ricordo a me più caro: viene riportato l’Inno composto per l’occasione da mio padre, il M° Salvatore Pintacuda, su versi del sac. Prof. Giuseppe Giordano. Mio padre però non poté essere presente al concerto, tenutosi l’11 ottobre nella Sala degli Specchi del Palazzo Palagonia: infatti in quel momento era sotto le armi, vicino La Spezia, in procinto di partire per il fronte in Corsica. Ma sicuramente da casa gli sarà giunta una lettera dei suoi cari, che lo avrà informato del grande successo della sua composizione.
Un’ultima riflessione.
Questa rivista, che mio padre conservò sicuramente come ricordo della sua partecipazione musicale, rappresenta secondo me un documento storico prezioso; la messe di notizie che si possono ricavare da essa è notevolissima e la parte fotografica è ricchissima (molte persone, vedendo queste foto, potranno ritrovarvi un parente, un amico, un conoscente).
Ma non è solo questo che rende importante questa testimonianza.
Nel bellissimo film “Baaria” (2009), Peppuccio Tornatore ha dedicato un meraviglioso affresco al suo paese natale; ebbene, in questa sua ricostruzione manca totalmente la parte dedicata al sentimento religioso dei bagheresi. Anche se il distacco ideologico del regista può far comprendere un’impostazione laica, l’omissione assoluta delle testimonianze della fede religiosa bagherese è a mio parere una grave mancanza: si poteva e si doveva ricostruire il modo in cui, capillarmente, la componente religiosa faceva parte a 360° della mentalità e dell’educazione del tempo.
Si badi bene: io parlo essenzialmente a livello di documento storico, perché ritengo che (qualunque sia il nostro pensiero politico e religioso o non religioso) non si possa e non si debba ricostruire la storia a settori e a compartimenti stagni, omettendo ciò che non rientra nei nostri parametri ideologici. A parte il fatto che il passato, comunque noi lo valutiamo e comunque lo vogliamo ricostruire, ha una sua certezza granitica e immutabile: “quod egimus certum”, dice Seneca nel suo “De brevitate vitae”.
APPENDICE – Un po’ di storia della Chiesa del Santo Sepolcro
Non si conosce con precisione la data di fondazione della Chiesa del del SS. Sepolcro. Se vogliamo accettare la tradizione, secondo la quale il Sacerdote Don Giuseppe Toscano ne è stato il fondatore, dobbiamo porre tale data nel 1744, poiché così sta scritto in uno dei quattro dipinti, che tuttora adornano la Chiesa e che furono eseguiti per devozione e spese dallo stesso Sac. Don Giuseppe Toscano.
Ma pare che la Chiesa esistesse di già prima di tale data e deve ritenersi piuttosto che egli ne abbia curato un po’ i primi abbellimenti. A dire il vero risulta dagli Atti esistenti in Archivio che Don Giuseppe Toscano lasciò alla Sua morte, avvenuta nel 1769, come fidecommissario (per l’esecuzione delle clausole contenute nel Suo testamento) il Principe di Trabia. Il quale nel 1772 stipulò un Atto coi primi appartenenti alla Congregazione di SS. Addolorata, per fare rispettare le disposizioni testamentarie di Don Giuseppe Toscano. In tale data quindi sorse la prima Congregazione di Maria SS. Addolorata ed è pertanto da presumere che già esistesse nella Chiesa l’attuale statua dell’Addolorata, che è opera del Quattrocchi. Esiste un secondo atto, in data del 1862, stipulato anche esso tra il Principe di Trabia, quale fidecommissario del Rev.do Padre Toscano, e gli appartenenti ad una nuova Congregazione di Maria SS. Addolorata, nel quale, riferendosi al Padre Toscano, si parla testualmente di «Sua Chiesa nominata del SS. Sepolcro in questo comune» (di Bagheria).
Comunque stiano le cose, Padre Toscano è il primo Cappellano-Rettore della Chiesa del quale si hanno notizie sicure ed a Lui spetta in ogni caso il merito, se non di avere fondato, di avere apportato i primi abbellimenti alla Chiesa. Egli infatti fece eseguire quattro pregevoli quadri, dipinti ad olio su ardesia, tuttora esistenti nella Chiesa. Il primo di essi, dipinto in data del 1744, si può ammirare nella Cappella del SS. Crocifisso sulla parete a sinistra, guardando l’altare. Esso raffigura al centro la Sacra Famiglia ed ai lati, lungo la cornice, episodi riguardanti la Sacra Famiglia stessa. Il secondo, dipinto nel 1747, trovasi nella stessa Cappella del SS. Crocifisso sulla parete laterale destra, guardando l’altare, di fronte al primo. Esso raffigura, sullo stesso stile del primo, al centro S. Onofrio, Re di Persia ed Eremita, ed ai lati, lungo la cornice, episodi della vita del Santo. Così il terzo, posto a sinistra della porta principale d’ingresso della Chiesa, sullo stesso stile dei precedenti, raffigura S. Rosalia al centro ed episodi della vita della Santa ai lati, lungo la cornice. Ed anche il quarto, posto a destra della porta principale d’ingresso della Chiesa, simmetricamente rispetto al terzo, tratta di S. Elia Profeta. Tanto il terzo che il quarto quadro portano la data del 1750. Lo stile nei quattro quadri è identico e rivela un’arte fine e delicata. Allo stesso ignoto Autore va attribuito il ritratto del Padre Giuseppe Toscano esistente in Sacrestia. Fra i quattro dipinti, che si trovano in Chiesa, il più importante dal lato storico è il primo. Esso infatti, oltre ad una calda preghiera ed invocazione a Gesù, Giuseppe e Maria, porta la seguente scrittura: Per devozione e spese del Sac. Don Giuseppe Toscano della terra di Casalvecchio, Fondatore del SS. Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo nella Villa della Bagaria a’ 20 settembre 1744.
La Chiesa in origine era ad una sola navata e non aveva le dimensioni attuali. Fu ampliata e trasformata a tre navate poco dopo la metà del secolo scorso nel 1866 (1).
Oggetto di continue, assidue ed amorevoli cure da parte degli appartenenti alla Congregazione di Maria SS. Addolorata, la Chiesa del SS. Sepolcro ebbe sempre nuovi abbellimenti. Così in un primo tempo il tetto delle due navate laterali era a botte. Successivamente, intorno al 1884 (2), fu modificato con la costruzione delle cupolette, esistenti ai nostri giorni, che sveltirono Ia linea architettonica delle navate stesse e diedero loro più ampio respiro.
Nel 1877 don Modesto Pittalà, uno dei più ricchi cittadini bagheresi del tempo, dotò la Chiesa dell’attuale Altare Maggiore. L’Altare Maggiore proviene dalla Chiesa di S. Giacomo di Palermo, che fu demolita dopo il 1860 e che sorgeva nel posto in cui si- trova attualmente la caserma della Legione territoriale dei Carabinieri Reali presso Porta Nuova a Palermo.
Come si ricava da una iscrizione posta al sommo dell’Altare stesso (3) Carlo VI, imperatore d’Austria e Re di Sicilia, cominciò a costruire l’altare nel 1733; Maria Carolina, sua nipote, Regina delle due Sicilie, lo abbellì e lo completò nel 1799. Pertanto la iscrizione si riferisce all’Altare Maggiore soltanto e non già a tutta la Chiesa del SS. Sepolcro, come da qualcuno erroneamente è stato ritenuto. L’Altare è di stile barocco, ma di un bel barocco, in perfetto parallelismo con Monumenti similari della stessa epoca, esistenti a Palermo (Chiesa di S. Giuseppe, Casa-Professa, etc). Dalla stessa Chiesa provengono la Statua in marmo e l’Altare di S. Giovanni Nepomuceno, il Martire della Confessione, esistenti nella prima Cappella, che s’incontra entrando nella navata laterale destra. Nel 1893 (4) i fratelli Domenico, Francesco e Giuseppe Caputo di Biagio fecero il pavimento della Chiesa in marmo in parte a spese proprie, in parte con elemosina raccolta tra i loro operai delle cave di pietre. È questo un esempio dello spirito di emulazione esistente fra gli iscritti alla Congregazione di Maria SS. Addolorata, appartenenti a tutte le classi sociali, come si ricava, tra l’altro, dai due citati Atti del 1772 e del 1862, i quali, sin da quando fu costituita la Confraternita, hanno sempre gareggiato lodevolissimamente tra di loro per ampliare ed abbellire la Chiesa del SS. Sepolcro. Questo loro spirito di emulazione è anche indice di profondo sentimento religioso e di devoto attaccamento al culto della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Nel 1914, Superiore il Signor Domenico Paladino, fu iniziata su progetto dell’Ing. Ernesto Armò la costruzione dell’attuale facciata della Chiesa. La costruzione fu interrotta nel periodo della Guerra 1915-18. Fu ripresa nel dopoguerra e fu portata a termine nel 1924, Superiore il Signor Salvatore Galioto, che da semplice congregato prima, da congiunto poi e da Superiore infine, lavorò infaticabilmente perché fosse completata la facciata, mostrandosi in ciò degno continuatore dell’opera dei predecessori.
A completamento della facciata nel 1930 fu collocato l’orologio nella torre apposita. Come si legge in una lapide posta sulla parete anterore della torre stessa, esso fu donato dall’iscritto alla Congregazione di Maria SS. Addolorata, Onofrio Di Quarto fu Ludovico.
II 4 dicembre 1931 morì il Cappellano-Rettore della Chiesa, Sac. Gaetano Raspanti. Al suo posto fu nominato subito dopo il Sac. Domenico Buttitta, il quale il 9 ottobre 1932, con la creazione della Parrocchia del S. Sepolcro, veniva ad essere nominato Vicario Economo e successivamente Parroco. Così Mons. Buttitta chiude la serie dei Cappellani-Rettori della Chiesa, iniziatasi col Sac. Don Giuseppe Toscano.
A tale serie appartennero, tra gli altri, il Sac. Alongi, il Sac. Cuffaro, il Sac. Cagliano, il Sac. Murina ed il Sac. Cipollà, che fu l’immediato predecessore di P. Raspante. Nulla si sa dell’opera svolta dei vari Cappellani-Rettori succeduti a P. Toscano, eccetto P. Raspante, del quale si parla altrove. Mons. Buttitta inizia la serie dei Parroci della Chiesa (5).
NOTE DEL REDATTORE DELL’ARTICOLO (1942)
(1) Notizia avuta dal Sig. Domenico Durante, maestro muratore, che in tale occasione vi lavorò da apprendista.
(2) Notizia avuta dai fratelli Domenico e Luigi Durante, maestri tutori, che vi lavorarono.
(3) Testualmente essa dice: Carolus VI Rom. Imp. P. F. A. Anno MDCCXXXIII incohavit, Maria Carolina, eius neptia, utriusque Sic. Regina, avitae Religionis emula, ornatius restituir absolvit MDCCXCIX. Modestus Pittalà hic emptam posuit A. MDCCCLXXVII.
(4) Vedi lapide a destra dell’ingresso principale della Chiesa.
(5) Le succinte notizie che ho esposto, sono state ricavate, su cortesi indicazioni fornite dal Sac. Don Francesco Prof. Speciale, che ringrazio, da documenti riscontrati in Archivio, da iscrizioni esistenti nella Chiesa, da testimonianze dirette.