“Hai ucciso ancora, come sempre”

“Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta”.

Proprio così.

Siamo nelle mani di fanatici bulletti da cortile, che anziché la pietra e la fionda possiedono però micidiali armi distruttive.

Galletti da combattimento, da entrambe le parti, da tutte le parti, che forse non hanno mai letto un libro in vita loro, che della propria lingua madre conoscono solo 500 parole basilari, che si credono però tutori esclusivi della verità e della giustizia.

Il macabro ringraziamento di Trump ai suoi “grandi guerrieri”, il suo sfegatato inno alle sue “armi magnifiche nei cieli iraniani”, la sua roboante esaltazione dell’esercito americano (“nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare questo”), stridono con la successiva dichiarazione di intenti: “Ora è il momento della pace”.

Ma, almeno a chi lo ha letto (non certo il presidente americano), tornano in mente le parole dello storico latino Tacito: “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”, “dove fanno il deserto, lo chiamano pace”.

Non a caso Trump, come si legge oggi su “Repubblica”, punta addirittura al Premio Nobel per la pace: evidentemente anche la parola “pace”, come tante altre al giorno d’oggi, ha cambiato significato.

E si procede così, occhio per occhio, dente per dente; tanto nessuno ricorda più le parole del Mahatma Gandhi (ma dove sono più, oggi, le “grandi anime”?): “Occhio per occhio finisce per rendere il mondo cieco”.

In questo nuovo mondo, in questo “tempo indecifrabile” (come lo definisce Ezio Mauro nel suo editoriale odierno su “Repubblica”), in questa cancellazione totale di “tutti i punti di riferimento con cui riuscivamo a orientarci nel lungo dopoguerra di pace ormai alle nostre spalle”, le dichiarazioni ufficiali sono fatte e smentite l’indomani (come le fantomatiche due settimane di attesa che Trump prometteva prima di sferrare l’attacco all’Iran), metà abbondante del popolo americano (alla faccia dei sogni isolazionistici per cui aveva eletto il suo presidente del “MAGA”) deve fare i conti con una guerra già in corso, il mondo intero assiste come spettatore impotente al precipitare degli eventi.

E c’è sempre qualcuno pronto a giustificare l’uso delle armi, l’impiego di bombe devastanti sempre più micidiali, le rappresaglie bestiali che coinvolgono vittime innocenti di tutti i Paesi coinvolti, le quali subiscono (e purtroppo spesso accettano) le scelte guerrafondaie dei loro leader, di leader che spesso (ahimè) hanno “democraticamente” eletto.

Anche all’inizio della prima guerra mondiale (ma chi ricorda la storia? chi la studia?) gli interventisti come Papini auspicavano “un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne”. Si sa, anzi si dovrebbe sapere e ricordare, come è finita poi.

Gli uomini non imparano mai dai loro errori passati, perché li ignorano e li dimenticano; hanno bisogno di rifarli, per comprendere di nuovo (a loro spese) l’ennesima dura lezione.

La prima concreta manifestazione contro questa guerra e contro tutte le guerre sarebbe quella di sfiduciare totalmente qualunque leader che ritenga lecito l’uso delle armi e “necessaria” la distruzione di massa.

Toccherebbe alle opposizioni di tutti i Paesi democratici, se e dove esistono ancora, il compito di ricondurre alla ragione i governanti guerrafondai; ma più in generale toccherebbe a tutti gli esseri umani la “mission impossible” di ritrovare in sé, in fondo in fondo, l’ultima labile, obliata e semicancellata traccia di “umanità”, per realizzare l’idea sempre più utopistica di quella “pace disarmata e disarmante, umile e perseverante”, auspicata (finora invano) dal nuovo pontefice.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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