Mio cugino Pietro Maggiore, il poeta, chiamava tutti i gatti indistintamente “Zibù”; quando un qualunque felino si aggirava nel giardino di casa sua o nella sua campagna, sorridendo lo subissava con i suoi “Zibù Zibù”, rendendo il micio di turno contento e perplesso al tempo stesso.
Volendo variare questo monotematico modo di chiamare i gatti, da ragazzo iniziai a battezzare i tanti mici che a Bagheria vivevano nel nostro giardino utilizzando per loro nomi “umani”; mi pareva brutto, infatti, nonché irriverente e discriminatorio verso il mondo GMF+ (Gatti Mici Felini+), usare nomi animaleschi come Mao (con buona pace dell’allora leader cinese), Micio, Pallino, Birba, Romeo, ecc.
Ecco dunque che, ad esempio, chiamai “Francesco” e “Carmelo” due bei gattoni, finendo per contagiare mio zio Masino, che fu spesso sorpreso da alcuni visitatori mentre vagabondava per il giardino in cerca dei mici chiamando a gran voce “Francescoooooooooo”, “Carmeloooooooooooooo”.
Tutta questa premessa per dire che forse anche per i gatti “nomina sunt omina” (“i nomi sono presagi”). E di questo doveva essere consapevole Gino Paoli quando battezzò “Ciàcola” (in veneto “Chiacchiera”) una gatta destinata a diventare famosissima.
Quando viveva a Genova con la prima moglie Anna Fabbri in una casa-soffitta nello splendido borgo marinaro di Boccadasse, in Salita Santa Chiara, Gino Paoli aveva una piccola gatta siamese: «Non si staccava mai da me, dormendomi sulla pancia mentre prendevo un po’ di sole sul terrazzino e lasciando sulla mia abbronzatura una pennellata bianca all’altezza dell’ombelico. […] L’avevamo chiamata Ciàcola per questo: in veneto significa “chiacchiera”. Era una gatta parlante come gli animali delle fiabe o dei fumetti: discorreva, proponeva, suggeriva, protestava, aveva da dire la sua su ogni argomento. Di fronte alle decisioni da prendere, la sua posizione era tenuta nello stesso conto delle nostre. In presenza di un estraneo, l’ultima parola era indiscutibilmente la sua; se non piaceva a Ciàcola, in casa nostra una persona non metteva più piede».
In onore di Ciàcola, il cantautore genovese (nato in realtà nel 1934 a Monfalcone in Friuli e trapiantato da bambino nel capoluogo ligure) compose nel 1960 la canzone “La gatta”, che uscì in 45 giri con sul retro il brano “Io vivo nella luna”.
La nascita del disco fu un po’ travagliata: Paoli allora non era iscritto alla SIAE, per cui il brano fu depositato da Mogol e Renato Angiolini (detto Toang); solo in seguito il cantante poté rivendicarlo a sé. La canzone, inoltre, all’inizio non piacque più di tanto: nei primi tre mesi vendette solo poco più di cento copie. Pochi avrebbero immaginato che quel motivetto sarebbe diventato un successo straordinario.
Dopo un breve inciso strumentale introduttivo, d’intonazione leggera e scherzosa, la prima strofe della canzone è caratterizzata da una serie di “enjambements” che collegano ogni verso al precedente, dando al testo un’intonazione da filastrocca e un suggestivo tono da favola: «C’era una volta una gatta / che aveva una macchia nera / sul muso e una vecchia / soffitta vicino al mare / con una finestra / a un passo dal cielo blu».
L’autore rievoca i momenti sereni di quel periodo: «Se la chitarra suonavo / la gatta faceva le fusa / ed una stellina / scendeva vicina vicina, / poi mi sorrideva / e se ne tornava su».
Potenza della musica, che suscita la simpatia e il piacere della gatta e – miracolo! – “tira giù” dal cielo una “stellina”, che viene a elargire il dono di un sorriso per poi tornarsene lassù.
Del resto, in quegli anni il pensiero era facilmente rivolto al cielo: due anni prima Domenico Modugno aveva composto il suo capolavoro, “Nel blu dipinto di blu” (“Volare oh oh”); e l’anno dopo, nel 1961, il primo astronauta (il sovietico Yuri Gagarin) andò in orbita attorno alla Terra.
Ma quel mondo magico è destinato a svanire: l’inciso della canzone sottolinea il cambiamento con un passaggio dal maggiore al minore che incupisce il tono leggero increspandolo di ironica malinconia: «Ora non abito più là: / tutto è cambiato, / non abito più là. / Ho una casa bellissima, / bellissima come vuoi tu».
Tuttavia nella nuova abitazione “bellissima” l’autore rimpiange la vecchia soffitta, quella gatta, quella stellina e quella semplice vita perduta: «Ma io ripenso a una gatta / che aveva una macchia nera / sul muso, a una vecchia / soffitta vicino al mare / con una stellina, / che ora non vedo più».
Nel suo libro intitolato “Sapore di note” (2005), Paoli dà una sua versione sulla nascita della canzone: «Avevamo cambiato casa. La soffitta di Boccadasse era stata svuotata, inscatolata e abbandonata nel magone generale. La piccola gatta siamese […] era entrata nella gabbietta ed era stata abbastanza buona e zitta, mentre la portavo nel nuovo appartamento in corso Paganini. Bisognava cogliere quel segnale: era stata, fino a quel momento, una gran chiacchierona. […] Morì dopo due mesi dal trasloco. La soffitta era diventata stretta a noi, per lei era l’unica condizione di vita. […] Ne cavai fuori una traccia, un’intenzione, e non mollai l’osso finché non successe qualcosa. Questo qualcosa era […] una piccola filastrocca: “La gatta”» (pp. 70-71).
Se queste note dicono la verità, il riferimento alla “casa bellissima” alluderebbe alla nuova abitazione di Corso Paganini; ma, considerando che all’epoca Paoli non era né ricco né famoso, la nuova condizione di vita sembrerebbe più un auspicio (poi realizzatosi) che un evento già verificatosi. Qualche anno dopo, in effetti, Paoli – ormai affermato – comprò casa a Roma, dove visse con la nuova compagna citata nella canzone (“ho una casa bellissima, / bellissima come vuoi tu”), da identificare forse non tanto con Ornella Vanoni quanto con Stefania Sandrelli (che infatti ebbe modo di dichiarare: «La canzone che mi ha fatto innamorare di lui è stata “La Gatta”, che poi lui infatti mi ha dedicato»).
Comunque sia e qualunque fosse stata la nuova “casa bellissima” di Paoli, la povera Ciàcola non vi mise zampa; ma di lei rimase immortale il ricordo: la “macchia nera sul muso”, le fusa che faceva accoccolata sul cantante e il suo “ciacolare” coinvolgente che “riempiva” quella povera soffitta, prima che “tutto cambiasse”.
E forse quella antica filastrocca era anche servita all’autore come rifugio e diversivo in un momento storicamente difficile (lo dice lo stesso Paoli nel già citato libro: «Correva il 1960, anno del governo Tambroni e del via libera alla polizia di sparare sulla gente in piazza»).
Nel 2012 Paoli ricavò dalla sua canzone di mezzo secolo prima un libro illustrato per bambini di età prescolare, in forma di “graphic novel” (ne allego l’immagine di copertina). Forse, tornando a quella sua semplice canzone giovanile, il cantante voleva archiviare il ricordo delle troppe vicissitudini della sua esistenza (l’alcoolismo, il tentato suicidio, gli incidenti stradali causati dalla guida spericolata, l’evasione fiscale, ecc.).
Oggi il cantante vive a Genova con Paola Penzo, autrice di alcuni suoi brani, che ha sposato nel 1991 e dalla quale ha avuto altri tre figli; come si legge su “Repubblica” del 24.09.2021, la casa attuale dell’artista si trova «inerpicata sulla collina e immersa nel sole»; vi si accede «da una porta su cui non c’è alcun nome. Attaccato c’è solo un adesivo, tondo, che mostra un gatto con la schiena inarcata e il pelo dritto. Sopra, una scritta: “Attenti al gatto”».
P.S.: Il link per riascoltare la canzone su Youtube è https://www.youtube.com/watch?v=wCqDEGcA44o