40 anni fa: “Tampasiannu a la stranìa” al Festival della Canzone siciliana

Quarant’anni fa, mercoledì 6 maggio 1981, io e mio cugino, il poeta bagherese Pietro Maggiore, partecipammo come autori al II Festival della Canzone Siciliana, organizzato da Pippo Baudo presso l’emittente televisiva catanese “Antenna Sicilia”.

La canzone dialettale con cui concorrevamo si intitolava “Tampasiànnu a la stranìa” (lett. “bighellonando in terra straniera”): i versi erano di Pietro, la musica era mia. L’interprete era un cantante catanese, Umberto.

Il testo della canzone affrontava il tema dell’emigrazione (a quei tempi visto ancora dal punto di vista “siciliano”, giacché ancora non erano iniziati i flussi di migranti in Italia). Nel testo, infatti, un emigrato siciliano vaga senza meta (questo significa “tampasiàri”) in terra straniera (“a la stranìa”), solo “con la sua ombra”, sentendosi meno felice di “un cane bastonato”, mentre la gente indifferente passa e non lo vede. Si rivolge allora alle “ciminiere” della fabbrica dove lavora, alle caldaie che “bruciano” il lavoro degli emigranti: il loro sudore dà “vita” al Paese in cui ora vivono, ma per loro si trasforma in “fiele”.

Il ritornello è una struggente invocazione alla lontana Sicilia, mentre il cuore affranto dell’emigrante “cade a pezzi”.

La serata finale della manifestazione, presentata da Pippo Baudo, ebbe anche degli ospiti allora famosi, come il cantante Achille Togliani, la “disco-singer” triestina Vivian Vee e l’attrice Fioretta Mari, oltre a diversi complessi folcloristici siciliani.

La nostra canzone si classificò al quarto posto; il verdetto fu assegnato da una giuria interna, mentre fino a quel momento le votazioni erano state affidate ai telespettatori attraverso le schede fornite dal quotidiano “La Sicilia” (e nelle votazioni popolari eravamo sempre stati al primo posto, con ampio margine). Ricordo però che la canzone vincente, “Sona chitarra mia”, cantata dal palermitano Filippo Alotta, era davvero molto bella.

Ci consolammo con la distribuzione finale di riso alla pescatora (lo sponsor era una nota ditta di riso), per poi tornarcene a Bagheria in piena notte.

La canzone fu poi incisa su un LP a 33 giri e in musicassetta.

Trascrivo qui di seguito il testo di Pietro, in stretto dialetto siciliano, ma che non mi sembra necessario tradurre.

Mi sembra doveroso precisare che dieci anni dopo, nel 1991, Pietro vinse il prestigioso Premio Girgenti con un’altra poesia sull’emigrazione; ma stavolta non si trattava di un emigrato siciliano, bensì di un immigrato marocchino, un “Vu’ cumprà” che avvertiva su di sé lo stesso disprezzo arrogante di cui una volta erano stati oggetto gli Italiani all’estero. Testimonianza ulteriore della sensibilità di Pietro (il cui padre aveva vissuto questa dolorosa esperienza) per il tema della migrazione.

TAMPASIANNU A LA STRANIA

«Tampasiannu a la strania, / sulu, sulu,  cu l’ùmmira mia. / Un cani vastuniatu  / è cchiù filici ‘i mia / ‘nmenzu a ‘sta genti strània / ca passa e nun mi viri. / Eppuru sugnu un omu, / un omu! / Sicilia, mia Sicilia, / lu cori cadi a pezzi  / quann’è ca vardu e viju / qual è la sorti mia / luntanu, a la strania, / ccà. / Cimineri chi fumati / li suspiri e li me’ affanni! / Travagghiu d’emigranti / brùcianu li caldari / e lu nostru suduri / chi a vui duna vita / pi nui, carni vinnuta, / è feli. / Sicilia, mia Sicilia…»

Ecco infine la canzone:

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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