Un anno di Covid / XIII

Continuo la riproposizione di alcuni post da me pubblicati l’anno scorso su Facebook in occasione della pandemia.

Il primo post risale al 17 novembre 2020 e si intitola “Fuochi d’artificio e coprifuoco”. Vi esprimevo la mia sorpresa per aver sentito la sera prima dopo le 23, pur essendo in tempi di coprifuoco, una festosa esplosione di fuochi d’artificio; da qui la constatazione che, anche in tempi di epidemia da coronavirus, permanevano le “norme consuetudinarie” e le “leggi locali” in uno dei “numerosi territori indipendenti dalla Repubblica italiana che esistono nella città di Palermo”.

36) 17.11.2020

 FUOCHI D’ARTIFICIO E COPRIFUOCO

Ieri sera, quando ero già a letto, ho sentito provenire da fuori il rumore pirotecnico dei fuochi d’artificio. Bum bam bim burubum burubam. Per dieci minuti. Festosi, prorompenti, prolungati, con tanto di “masculiata” finale.

Peccato che fossero le 23 passate e che, a quanto mi risulta, esiste un fantomatico coprifuoco che inizia alle 22; come dice l’ultima “grida” del governo Conte, “dalle 22 alle 5 del mattino sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute”.

Di che si trattava allora? Di una festa rionale? Di una riunione familiare? Ma queste due cose non dovrebbero essere proibite? Può essere allora che questa festa pirotecnica rientrasse nella suddetta casistica delle emergenze e necessità? “Esigenza” lavorativa da parte di chi vende e realizza i “giochi di fuoco”? “Necessità” di tenere su il morale della cittadinanza o di una famiglia arancione? Tentativo di migliorare la “salute” di qualcuno rallegrandolo con un carosello di girandole scoppiettanti?

Mistero. Forse, più realisticamente e probabilmente, i “giochi di fuoco” provenivano da uno dei numerosi territori indipendenti dalla Repubblica italiana che esistono nella città di Palermo: zone e quartieri ove vigono da sempre, a tutti i livelli, norme consuetudinarie e leggi locali, assolutamente autonome rispetto alle leggi dello stato (con la “s” minuscola”).

Nulla di nuovo, dunque. Ci si poteva dormire su.

Ma non era finita ancora: conclusasi la “masculiata”, la pace notturna subìva, un’ora dopo, una nuova interruzione, stavolta assolutamente “naturale”: un potentissimo tuono faceva tremare gli infissi ed era subito dopo accompagnato da un forte scroscio di pioggia.

Forse Giove Pluvio, che in genere ha un brutto rapporto con la città di Palermo (non a caso la visita rarissimamente), ha voluto riappropriarsi perentoriamente del suo secolare diritto di tuonare e fulminare. Altro che le ditte di fuochi d’artificio…

Lucia Azzolina, ex ministro dell’Istruzione

Il secondo post è del 23 novembre 2020 e si intitola «Quando la politica è ‘vuccazzusa’». Il termine siciliano “vuccazzusu” indica “chi parla a vanvera e vanta capacità in effetti inesistenti” e mi sembrava quanto mai appropriato per commentare le dichiarazioni dell’allora ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, che – in piena seconda ondata di contagi da coronavirus – fantasticava su un ipotetico “ritorno degli studenti fra i banchi di scuola a dicembre”; non da meno erano altri commenti fiduciosi in un’epoca di totale sfiducia, nella quale il governo Conte-bis con sempre crescente difficoltà si arrabattava per fronteggiare l’emergenza. Ne derivava la constatazione di un persistente malvezzo di certa politica, che troppo spesso semina chiacchiere al vento anziché osservare oggettivamente e criticamente la realtà.

37) 23.11.20

QUANDO LA POLITICA È “VUCCAZZUSA”

Sul “Giornale di Sicilia” di oggi si legge che obiettivo prioritario del ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, è il ritorno degli studenti fra i banchi di scuola a dicembre, senza rinviare la didattica in presenza al nuovo anno.

A questo auspicio si unisce prontamente il Comitato tecnico scientifico, secondo il quale i ragazzi subiscono un impatto negativo dall’assenza prolungata, “sia psicologicamente che per la dispersione” (questa strana correlazione asimmetrica è nel titolo dell’articolo).

A favore della riapertura della scuola in tempi rapidi è anche Matteo Renzi: “Prima di discutere sul cenone di Natale possiamo dire che riapriamo i Licei?” (non si capisce a chi lo chieda; ai suoi colleghi di governo?)

Si associa anche il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli e afferma che lasciare a casa oltre tre milioni di studenti “sarebbe una sconfitta per il Paese”.

Di fronte a questi (ed altri) unanimi commenti, risulta ovvio pensare che, in questo momento, si stia lavorando concretamente su tutti quegli elementi che hanno determinato la chiusura delle scuole ai primi scricchiolii dei meccanismi di “piena sicurezza”, tanto promessi e decantati nel periodo estivo.

Dunque, dobbiamo credere fermamente che:

1) si sta già potenziando adeguatamente il sistema dei trasporti, totalmente collassato nella fase precedente; in particolare, si sono acquistati o costruiti nuovi bus e tram (da inviare anche in quelle zone desolate del Paese in cui i mezzi pubblici sono di fatto semi-inesistenti da sempre), si sono requisiti i pullman privati o da turismo, si è garantita una frequenza massiccia di mezzi nelle ore di ingresso e uscita dalle scuole (ovviamente scaglionati);

2) ci si è accertati che siano arrivati tutti i banchi monoposto ordinati e che siano stati “rottamati” i vecchi banchi inutilizzati; si è dunque controllato e garantito il distanziamento nei locali scolastici;

3) si è potenziato l’organico scolastico, per garantire le supplenze nei – frequentissimi – casi di contagio e/o quarantena da parte del personale docente e non docente;

4) si è stilato un progetto concreto, realistico e realizzabile, per il ritorno “fisico” in classe (orari nettamente ridotti, adeguamento alla situazione dei criteri di valutazione e dei programmi ministeriali, razionalizzazione dei compiti per casa, superamento del mito chimerico dei 209 giorni di scuola annui, ecc.);

5) si è creato un “sicuro” dispositivo anti-assembramento davanti agli istituti scolastici, con massiccio uso delle forze dell’ordine, per impedire lo “stazionamento” (ah quanti bei vocaboli nuovi ho imparato quest’anno) di decine di persone (ragazzi stessi, genitori, amici e conoscenti);

6) si è attivato un efficace e universale meccanismo di “tracciamento” immediato dei casi di coronavirus, con attivazione di adeguati e capillari screening di massa.

Forte della puntuale realizzazione di questi punti (e di altri che omettiamo per carità di patria), il ministro Azzolina potrà rispondere concretamente alle perplessità esistenti anche all’interno del governo stesso; l’articolo del “Sicilia” precisa infatti che nell’esecutivo “c’è chi sosterrebbe che la precedenza debba essere garantita alle attività economiche e che non è ancora il momento per caricare la rete di trasporto anche con gli studenti”.

Ovviamente dalla parte della Azzolina è il suo “tutor”, il ministro degli esteri Luigi Di Maio, che rassicura: “è premura di tutto il Movimento 5 Stelle far riaprire le scuole, in totale sicurezza e rispettando le norme anti-Covid, non appena ci saranno le condizioni”. Che bello sentire parlare di “totale sicurezza” in questa situazione in cui tutto appare incerto, precario, confuso!

C’è uno splendido termine dialettale siciliano per indicare chi parla a vanvera e vanta capacità in effetti inesistenti: “vuccazzùsu”.

Speriamo di non dover utilizzare questo termine per Lucia Azzolina, per l’eminente esponente di spicco del Movimento degli Zainetti e per tutto il governo giallorosso.

Di gente “vuccazzusa”, ora più che mai, non abbiamo bisogno.

Paola De Micheli, ministra dei trasporti nel governo Conte-bis

Il precedente post ebbe un seguito pochi giorni dopo, il 27 novembre (“Quando la politica è ‘vuccazzusa’: II parte – Intervista alla ministra dei trasporti”). Su “Repubblica” la ministra dei Trasporti Paola De Micheli aveva rilasciato un’intervista nella quale sminuiva il ruolo dei mezzi pubblici nella diffusione dei contagi e affermava che le regioni stavano mettendo a disposizione degli utenti “quasi diecimila bus aggiuntivi in tutto il Paese”. Tanta fiducia meritava un’analisi, che diventa tanto più capillare quanto più la De Micheli tirava in ballo altre responsabilità, giocava a scaricabarile, vantava successi e fervide iniziative (come quella di mandare i ragazzi a scuola di domenica, in seguito finita immancabilmente nel grande calderone delle stramberie abortite con il precedente governo…).

38) 27.11.20

QUANDO LA POLITICA È “VUCCAZZUSA” / II PARTE: INTERVISTA ALLA MINISTRA DEI TRASPORTI

Su “Repubblica” di oggi a pag. 3 si trova un’intervista di Corrado Zunino alla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, esponente del Partito Democratico. Nelle sue dichiarazioni, peraltro, la ministra sembra palesemente sconfinare in un altro dicastero, quello dell’Istruzione, occupato invece – come è noto – dalla sua collega pentastellata Lucia Azzolina. La De Micheli infatti, sfoggiando competenze in materia scolastica evidentemente a lungo represse, coglie due piccioni con una fava, risolvendo (a parole, ma di politica “vuccazzusa” ho già parlato in un mio recente post) due problemi in un colpo solo: la carenza del sistema dei mezzi di trasporto e il problema della riapertura delle scuole.

Ma andiamo con ordine.

Anzitutto la ministra, ovviamente, tira acqua al suo mulino: “Nessuno mi ha portato uno studio che dimostri che i trasporti sono la principale ragione della crescita della curva. Ho sentito troppi scienziati parlare a braccio, in questo periodo”. Ecco spiegato tutto: i mezzi pubblici non c’entrano niente con la diffusione del contagio, non sono loro (anche se gremiti in modo esorbitante alla faccia dei millantati limiti dell’80% di capienza) a determinare il contagio. La colpa è di altri, come sempre. E di chi? Ovvio: degli scienziati. Tanto, chi li ama in Italia gli scienziati? Può un esponente della categoria dei “vuccazzusi” approvare chi, per definizione, “vuccazzusu” non può essere?

Ma procediamo. La ministra garantisce che “le Regioni hanno messo a disposizione quasi diecimila bus aggiuntivi in tutto il Paese… Sono pronti a scendere in strada”.

Bene! Verrebbero spontanee tre domande: quali regioni? quali bus aggiuntivi? quali strade? L’intervistatore chiede invece se con queste nuove risorse sarà garantito il distanziamento sui mezzi pubblici. La risposta è di un candore disarmante: “No. Con 24 milioni di persone a bordo di mezzi dimezzati non sarà possibile”. La De Micheli aggiunge esempi relativi alle maggiori città italiane, concludendo che “quasi tutte le città metropolitane non sono nelle condizioni di ospitare numeri così alti di nuovi mezzi pubblici”.

Non so se state seguendo la logica stringente di queste dichiarazioni: 1) non è colpa dei trasporti se si diffonde il covid; 2) i “bus aggiuntivi” sono già pronti; 3) sì, ma il distanziamento non sarà comunque garantito.

Qui sarebbe stato meglio, per carità di patria, concludere questa ineffabile intervista. Ma, non contenta, la ministra si spinge, come accennavo prima, al di fuori del suo orticello e pontifica in campo scolastico con una serie di suggerimenti che mettono i brividi (e quasi fanno paradossalmente ringraziare il cielo che in viale Trastevere ci sia invece la Azzolina…):

1) “dobbiamo spalmare l’entrata e l’uscita degli studenti sulle prime dodici ore della giornata, dalle 8 alle 20” [sulle ore dalle 21 alle 7 per fortuna si stende un velo pietoso];

2) “credo sia necessario fare lezioni in presenza anche il sabato”;

3) alla domanda (ma chi gliele suggerisce ‘ste domande agli intervistatori?!] “Bisogna abbattere anche il tabù della domenica?” la risposta è: “siamo in emergenza e bisogna far cadere ogni tabù”.

Ah, che coraggio trasgressivo! Quale assenza di pregiudizi e schemi mentali obsoleti! Mandare i ragazzi a scuola tutti i giorni, domenica compresa, è l’uovo di Colombo: come mai non ci aveva pensato nessuno? Tanto ai ragazzi si può chiedere tutto: di stare sei ore davanti al pc in videolezione; di studiare 5-6 ore sui libri il pomeriggio; di non vedere nessun amico, di vivere una vita solo virtuale, da monaci anacoreti; e ora, anche, di andare a scuola la domenica, magari dalle 16 alle 20.

Non è finita. Il giornalista chiede come mai, se di “ingressi scaglionati” si era parlato dal maggio scorso, ancora oggi, a novembre inoltrato, questa decisione non sia stata calata nella realtà. La risposta della de Micheli mostra in lei (benché – come detto – avversa agli “scienziati”) un’inconsapevole alunna del lessico ermetico del prof. Locatelli: “Non si è trovata la figura decisionale terza per applicare gli scaglionamenti con efficacia”.

Chiarissimo, no? In Italia non si passa dalle chiacchiere ai fatti perché manca “la figura decisionale terza”. Qua si potrebbe ricamare sofisticamente su questa definizione (ad es. chiedendosi chi siano le prime due inutili figure decisionali); ma l’intervista si avvia alla conclusione, con un ulteriore fuoco pirotecnico, una sorta di “masculiata” finale. 

La De Micheli ne ha per tutti:

1) della Azzolina dice che “ha fatto ‘moral suasion’ nel mondo della scuola e in alcune regioni questo non è bastato” [ci voleva, l’ennesimo anglicismo di circostanza!);

2) il “lavoro sulla diffusione del contagio sui mezzi pubblici” non è stato ancora avviato ma è già stato chiesto dalla solerte ministra “al ministro Speranza” [ci voleva anche il consueto scaricabarile];

3) quanto alla richiesta di un suo eventuale pentimento per aver riportato la capienza su bus e treni all’80% la ministra risponde: “Le Regioni volevano il 100%., il governo ha fatto opera di mediazione e abbiamo portato il limite a 80. Ora è di nuovo al 50 e ci deve restare”.

Meraviglioso. La salute dei cittadini si riduce a una contrattazione da “suk” turco, come quella che mi capitò di fare al gran bazar di Istanbul. In quella circostanza, al venditore che chiedeva 100 per vendermi un souvenir, io avevo offerto 20 e poi eravamo arrivati a 50; ma a questo punto ci fu un curioso sviluppo della contrattazione: quando il mercante mi chiese da dove venivo, risposi che arrivavo da Palermo. Allora, semiterrorizzato, il mio interlocutore mi disse: “Decidi il prezzo tu”. Forse e senza forse temeva che estraessi la lupara e lo fulminassi.

Ma il governo non dispone (fortunatamente) di lupara, quindi deve contrattare con le regioni (non con i tecnici, non con i medici, non con gli scienziati) la quantità di persone che possono salire sui mezzi pubblici.

Meglio non leggere altro. Per oggi mi è bastato…

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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