Un anno di Covid (n. 18): Autocertificazioni / “Le rane e il re”

Ecco altri due miei post pubblicati su Facebook a commento della pandemia.

Il primo risale al 24 gennaio scorso e parla delle “autocertificazioni” che, nella lunga fase del lockdown, dovevano essere esibite dalle persone che avessero necessità di uscire. In realtà però i controlli effettivi erano sporadici e non mancavano, da parte dei trasgressori, le più fantasiose giustificazioni per le loro “fughe” da casa. E venivano in mente, di fronte a questa situazione grottesca, le “gride” manzoniane, sistematicamente disattese da tutti.

Un modello di autocertificazione

51) 24.01.21

LE AUTOCERTIFICAZIONI DEI PALERMITANI

Il “Giornale di Sicilia” di oggi informa sul decorso dell’epidemia in Sicilia: i contagi sono in lieve calo (ieri 1158 nuovi casi accertati, 197 in meno rispetto a venerdì), ma scoppiano nuovi focolai, il numero degli attuali contagiati sale a 47.627 e 223 persone sono in terapia intensiva. Il famigerato indice Rt (ieri a 1,27, secondo solo al Molise) evidenzia il costante progresso dell’epidemia.

Di fronte a questa situazione di stallo (alla faccia della teorica zona rossa in cui l’isola si trova da una settimana), il governatore Musumeci ha esortato i prefetti ad attuare controlli più severi; infatti, a suo dire, “a fronte di decine di migliaia di operatori commerciali che mantengono chiusi i propri esercizi nel rispetto delle regole e di milioni di siciliani che fanno altrettanto restando a casa, sono purtroppo tanti, troppi i casi di inosservanza che restano impuniti. Come è ben noto, […] vigilare sull’effettiva osservanza delle disposizioni non è di nostra competenza”.

Una dichiarazione che lascia perplessi, sia perché non si capisce quanti abitanti Musumeci crede che abbia la Sicilia (“milioni di siciliani” a casa e altri inosservanti!?!) sia perché culmina nel consueto e immancabile “scaricabarile” conclusivo. Il governatore afferma di aver preso le sue decisioni senza guardare “al termometro del consenso popolare”, ma invece per “scongiurare la conta tragica delle tante vittime di ogni giorno”; però “non può” vegliare sull’attuazione delle sue decisioni, che restano quindi sulla carta.

I controlli delle autocertificazioni

Qual è allora la situazione dei controlli?

Il quotidiano, a pag. 3, presenta alcuni esilaranti episodi verificatisi a Palermo in occasione dei pochi e sporadici controlli operati dalle forze dell’ordine. Eccone degli esempi.

1) Una coppia di fidanzati è stata sanzionata a Monte Pellegrino, dove “stazionava” (si può immaginare come) a ridosso del coprifuoco e “ben lontano dalle loro case di residenza”; davvero sventurati, rispetto a tanti altri che hanno impunemente “stazionato” in “locations” meno scontate.

2) Un trasgressore è stato multato (400 euro) a Mondello perché, fermato, ha detto di “dover andare a trovare la zia anziana”; zia di cui, peraltro, non era in grado di fornire nemmeno l’indirizzo. Accanto a lui, molti altri passeggiavano tranquillamente perché forniti di più valide (anche se non meno fantomatiche) motivazioni.

3) Un nottambulo è stato sanzionato a Piano Gallo in pieno coprifuoco e si è giustificato col fatto che “non riusciva a prendere sonno”. E dire che gli sarebbe bastato fingersi sonnambulo…

4) Un tizio è andato da Monreale a Mondello “per comprare il pesce”.

5) Un suo compaesano, sempre a Mondello, era sceso “per comprare una bevanda” in un supermercato (preferito a quelli monrealesi), aggiungendo però “di non aver denaro al seguito per l’acquisto”.

6) Un altro, da Brancaccio, è andato in farmacia sempre a Mondello (località evidentemente fornita di tutti i comfort); peccato che avesse scordato a casa la prescrizione medica.

Il giornale snocciola dati: nelle prime cinque giornate “rosse” le pattuglie delle forze dell’ordine hanno controllato 10.399 persone e comminato 420 sanzioni; inoltre viene minacciosamente precisato che “continuano [sic!] ad essere potenziato il numero di pattuglie impiegate in ambito stradale e autostradale” e che “in caso di dichiarazioni mendaci o risultate false i soggetti contravvenzionati rischieranno il deferimento alla Procura della Repubblica per falso ideologico e falsa attestazione a pubblico ufficiale”.

Ci sarebbe proprio da tremare, se non venissero in mente le parole del Manzoni sulle “gride”, le famigerate leggi proclamate e sbandierate, ma non attuate: “quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi. L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere”.

Le prove della generale impunità sono sotto gli occhi di tutti: se non c’è quasi una famiglia palermitana, oggi, in cui non si abbia notizia di qualche contagiato, di qualche ricoverato, di qualche “tamponato”, sono invece rarissime le testimonianze di persone “controllate”, di autocertificazioni richieste, di sanzioni affibbiate e – soprattutto – effettivamente pagate.

Un’ulteriore prova si ha consultando le eleganti espressioni dei raffinati frequentatori di “Palermo Today” che, col loro consueto turpiloquio sgrammaticato, insultano le autorità negando la virulenza dell’epidemia, sbeffeggiano e insultano i politici e per di più riversano l’uno sull’altro (da bravi galli nel pollaio) espressioni irriferibili.

Del resto sullo stesso “Giornale di Sicilia” di oggi, a pag. 19, compaiono i messaggi lasciati dai lettori al sito del quotidiano; e  questi messaggi – a proposito dei controlli anti-covid – confermano che si tratta di “parole al vento”, che ci sono innumerevoli persone “senza mascherina o con la mascherina abbassata che fumano ininterrottamente sigarette elettroniche che non finiscono mai”, che “ci vogliono più controlli nelle periferie”; e via di questo passo.

Prepariamoci dunque, noi rispettosi delle regole, noi che non andiamo a Mondello per comprare qualcosa, noi che se compriamo il pane indossiamo la mascherina FFP2, noi che siamo più realisti del re e che nonostante questo non ci sentiamo mai sicuri del tutto, prepariamoci (dicevo) a vivere l’ennesimo “giorno della marmotta” (come scrivevo alcuni giorni fa).

Fra un mese celebreremo il primo compleanno di Frate nostro Coronavirus, che è sempre “bello tosto et iocundo et robustoso et forte”: lui sì che ci sanziona spietatamente, lui sì che ha la facoltà di vedere realizzate le sue minacce, lui sì che ci costringe a pagare salatamente le nostre mancanze, lui sì che non è daltonico e non scorge né il giallo né l’arancione né il rosso, ma ci contamina col suo tetro colore nero.

Nell’ingresso di casa mia, incontaminata, un po’ sgualcita per essere entrata e uscita di tasca varie volte, staziona una zelante autocertificazione in bianco, accompagnata da una prudenziale penna, ad oggi inutilizzate entrambe. C’è da augurarsi soltanto che il bisogno di usarle cessi davvero, prima o poi; se tutto va bene, le conserverò nel mio archivio personale, come i mini-assegni degli anni Settanta, come i gettoni telefonici, come le vecchie lire.

Buona domenica a tutti (per quanto è possibile)!

Il secondo post, pubblicato il 7 febbraio 2021, si intitola “Le rane e il re”. Era di poco successivo all’incarico, conferito a Mario Draghi, di formare un nuovo governo. Mi sembrò allora che la “riscrittura” di una nota favola di Fedro potesse servire a puntualizzare, con qualche inevitabile nota ironica, la situazione del Paese. Ovviamente il re Travicello allude qui all’ex premier, mentre non occorre dire a chi mi riferissi con la figura del Dragone, “universalmente ammirato e rispettato per il suo carisma interstagnale”.

52) 07.02.21

LE RANE E IL RE

C’era una volta un popolo di rane che, dopo una crudele tirannia, era tornato alla prosperità e al benessere, tanto da essere uno dei più felici al mondo. Le rane però erano divise fra vari colori.

C’erano quelle rosse, ma di un rosso slavato e chiazzato di bianco, che chiedevano provvedimenti sociali, riforme (fino a un certo punto, però), “transizione ecologica”, riforma fiscale (stando attenti a chi venisse colpito), semplificazione burocratica e atteggiamenti di ecumenica concordia.

C’erano rane gialle, giovani e baldanzose, che amavano portarsi uno zainetto sul dorso; un tempo avevano vomitato ferro e fuoco contro lo stato, avevano distribuito un reddito di cittadinanza (fu detto “reddito di rananza”) a tutte le rane purché si mettessero poi a lavorare (c’erano state pure delle rane “navigatrici” che però erano spesso affondate), avevano stabilito a quota 100 la pensione ranesca e avevano stabilito un meraviglioso criterio: “una rana vale una rana”; essendo alle prime armi, non sapevano ancora gracchiare bene (a scuola di “gracchiamento” erano andate assai poco) e amavano ascoltare il canto di un Grillo parlante dei dintorni.

C’erano rane verdi, che un tempo vivevano nel Nord di quel paese ma lo avevano poi invaso tutto (anche la parte meridionale, di cui un tempo avevano detto peste e corna) e chiedevano cose semplicissime e accattivanti: meno tasse, potere alle rane sovrane, diffidenza verso la CER (Comunità Europea delle Rane), condoni fiscali tombali, priorità alle rane verdi (“prima le rane verdi”), chiusura dei confini dello stagno per evitare afflussi di rane di altre paludi.

C’erano anche rane nere, che avevano per capo una ranetta piccolina che sbraitava tantissimo e diceva sempre e solo una parola: “Elezioni”; fra di loro c’era qualcuna che, nelle riunioni politiche, faceva il saluto romano alzando una zampetta; ma la rana piccolina in questi casi chiudeva un occhio, li ammoniva bonariamente e gridava: “Elezioni”.

C’era anche una rana di origine fiorentina, la più gracchiante di tutti, che aveva raccolto intorno a sé delle rane dissidenti, e remava sempre contro tutto e contro tutti, affermando però di non mirare a nessuna tana privilegiata e di mirare al bene di Ranopoli; a volte provava a dire le stesse cose in inglese, ma si bloccava sempre nelle proposizioni causali appena doveva dire “because”.

Come è ovvio, la confusione dilagò sempre più; le rane non riuscivano a trovare più nessun tipo di accordo, per cui decisero di chiedere un re a Zeus. E Zeus, che per scettro aveva un mattarello, mandò loro un piccolo pezzo di legno, un Travicello, il quale, dopo essere stato lasciato cadere nello stagno, con l’improvviso movimento delle acque limacciose e il suo sordo tonfo, spaventò il pavido popolo delle rane.

Le rane gialle e verdi accorsero e, vedendo il Travicello, lo osannarono come loro re; lui, trasformato inopinatamente in un miracoloso Pinocchio, prese vita, forma e anche crescente autorità. Ma dopo un po’, poiché il capo delle rane verdi a un certo punto prese troppo coraggio e osò chiedere pieni poteri, la rana fiorentina riuscì abilmente a spaventare le altre rane gialle e le indusse ad allearsi con quelle rosse semibianche.

E il re Travicello? Fu confermato in carica e anzi si ringalluzzì sempre più. Infatti una terribile epidemia aveva colpito il popolo delle rane ed esse morivano come mosche (che le rane muoiano come mosche può sembrare strano, anche perché poche mosche muoiono come rane; ma può capitare).

Travicello nominò un commissario straordinario, un buffo ranocchio chiamato Arcurocchio, che però non seppe cavare un ragno dal buco (e anche qui può sembrare strano che una rana debba cavare ragni: ma può capitare).

Travicello inoltre emanò frequenti DPCR (Decreti del Presidente del Consiglio delle Rane) e provò anche a dividere le rane in vari ulteriori colori (verde, arancione, giallo, rosso, bianco); ma siccome era un po’ daltonico di natura, ne derivò una paralizzante confusione cromatica.

Nella situazione sempre più disperata, il popolo delle rane cominciò a diffidare del Travicello; tornarono allora dal re Zeus a chiedere un nuovo re; e Zeus, brandendo sempre il suo pacifico mattarello, mandò loro un Dragone, universalmente ammirato e rispettato per il suo carisma interstagnale.

A quel punto le rane, di qualunque colore fossero o fossero state, dimenticando i loro veti incrociati e le loro idiosincrasie reciproche, corsero al carro del Dragone, ansiose di salirvi in massa. Ma lui, il Serpentone, dopo averle lasciate gracchiare confusamente, cominciò ad aggredirle una dopo l’altra: alle gialle tolse il reddito di rananza, alle verdi negò la chiusura degli stagni e i condoni, alle rosse chiese di ridurre i loro sogni ecologici e impose il connubio con una vecchia rana di color azzurro che aveva avuto dei trascorsi giudiziari, alla piccola rana nera consigliò una fisioterapia per curarsi la zampetta infortunata e alla rana fiorentina impose di starsene al suo posto e di gracchiare quando diceva lui.

Quanto a Travicello, chiamato un suo collega di nome Tavolino, si mise a cavalcioni su di lui e da lì annunciò al Dragone di essere pronto a dare il suo ligneo contributo.

Intanto la pandemia delle rane continuava e Arcurocchio faceva inutili telefonate a destra e a manca.

Dopo gli iniziali entusiasmi, le tendenze policromatiche delle rane tornarono a manifestarsi; scontente delle decisioni sempre più nette, radicali e indefettibili del Dragone, offese di non essere consultate quando gli gracchiavano le loro istanze, nostalgiche del bel caos precedente, mandarono di nuovo una delegazione a Zeus per chiedergli di liberarle dal Dragone. Ma lui aveva già riposto il suo mattarello in una valigia, per cui disse: “Io vi ho già mandato un Travicello e un Dragone; non mi viene in mente altro: chiedete al mio successore”.

Si sistemò il nodo della cravatta e si allontanò con la valigia in mano, un po’ curvo per il peso.

E grande fu la sorpresa delle Rane quando videro arrivare al Qui-ranale il nuovo inquilino: era il Dragone!

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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