“Intervista ad Arianna” di Palma Civello

Presento qui un testo composto dalla mia carissima amica Palma Civello, scrittrice, poetessa e pittrice palermitana; si tratta di una “Intervista ad Arianna”, nella forma di un monologo in cui il personaggio racconta la sua storia con Teseo. Il brano è stato inserito nel vol. III di Grecità – Storia della letteratura greca, che ho pubblicato con Michela Venuto per l’editore Palumbo (Palermo 2014).

In un tono colloquiale e “borghese” e con viva passionalità, viene presentata un’impietosa autoanalisi da parte di Arianna. Il mito greco viene attualizzato, diventa una vicenda “di sempre”, con il ricordo di una storia tormentata ma non rinnegata del tutto; infatti, la delusione per l’amara conclusione della vicenda (l’abbandono da parte dell’eroe) non cancella in Arianna il ricordo del grande amore che ha vissuto con Teseo.

La conclusione è una breve poesia in cui, con assoluta lucidità, Arianna riafferma la potente legge dell’amore, che – in modo paradossale ed “inspiegabile” – continua in lei a reclamare i suoi diritti: “L’ho maledetto, Teseo, per l’inganno / e per il gesto vile, / per mille anni ancora oltre i suoi giorni… / ma se tornassi indietro, / ancora gli darei il mio filo, / perché non ha leggi / l’inspiegabile mondo dell’amore”.

INTERVISTA AD ARIANNA (di Palma Civello)

Mi chiedi se Teseo era davvero un eroe. Hai sbagliato domanda; o almeno non era questa la domanda che dovevi farmi. Rivolgila ai suoi amici, ai suoi seguaci, ai suoi fans: non è così che oggi li chiamate? A me devi chiedere altro; magari se Teseo era un uomo affidabile, un uomo che sapeva far sentire la sua donna “speciale”, unica…

No, non chiedermi neanche questo: non ti risponderei, non ho voglia di rispondere. Non voglio più ricordare tutti i sogni fatti insieme nelle lunghe notti appassionate, non voglio più ricordare il profumo di forza e di prestanza che emanava quando arrivò dalla sua città e sembrava che non conoscesse ostacoli; non voglio ricordare le ore trascorse ad escogitare come ingannare il terribile mostro del labirinto. Lui si sarebbe fatto uccidere pur di salvare vittime innocenti, ma io non potevo rischiare di perdere, anche se per un gesto nobile, l’uomo che amavo e che mi aveva giurato eterno amore. E l’amore fa acuire tutti i sensi, fa escogitare tutte le soluzioni pur di salvare ciò che hai di più prezioso; l’amore ti fa osare.

Tengo ancora conservato gelosamente un pezzo di quel filo che gli diedi… era rosso, come la passione che provavo per lui. Guarda, lo tengo ancora qui, sopra quel cuore che, ignaro e stupido, si mise a battere più forte per lui, il grande Teseo.

Basta. Non voglio ricordare più nulla di quei giorni e non ricordo altro, come se una polvere fitta si fosse posata su alcuni fatti, risparmiandone altri.

Invece tutto ricordo di quel maledetto giorno, il giorno più infelice e disgraziato della mia vita. Tutto ricordo di quando mi svegliai, ignara del mio destino, adagiata sull’erba, in un luogo mai visto prima. Tutto ricordo, perché non avrei mai pensato di poter soffrire così tanto e così intensamente, e mai avrei pensato che sarei sopravvissuta a tanto dolore.

Sentivo sulla mano destra un pizzicore e tentai di guardare cosa fosse cercando di muovermi da una posizione decisamente scomoda: mi dolevano tutte le ossa e faticavo a spostarmi.

Tutto mi sembrava strano e incomprensibile: le formiche, che cacciai dalla mano arrossata dai loro morsi; quel sole, che mi feriva gli occhi incapaci di aprirsi perché c’era troppa luce. E poi avevo un forte mal di testa che mi impediva di mettere a fuoco ciò che avevo intorno e che mi sembrava estraneo. Per un po’ pensai che si trattasse di un incubo, che presto mi sarei svegliata e mi sarei ritrovata…dove? Non riuscivo a ricordare, tutto mi sembrava confuso, avvolto da una nebbia fittissima che contrastava con quel sole così forte che mi impediva pure di pensare. Cercai di alzarmi e barcollando mi andai a sedere su una larga pietra posta sotto un albero di ulivo, così potevo ripararmi da quel sole che non tolleravo più, mentre un’arsura insopportabile mi saliva dalle viscere fino a farmi sentire la bocca come un braciere appena attizzato. Anche quell’arsura così violenta mi impediva di pensare.

Poi mi sembrò di sentire in lontananza un fruscio che mi pareva amico; mi diressi verso di esso appigliandomi a quel rumore che diventava sempre più scrosciante man mano che mi avvicinavo, pensando (ma era la forza della disperazione) che lì avrei trovato aiuto. Era una cascata che scendeva da un piccolo dirupo e liberava le sue acque in uno stretto e lungo fossato che doveva servire ad irrigare i terreni. Mi gettai in quell’acqua come può fare un pesce che riesce a scappare dalla rete del pescatore e si tuffa nel mare quando già ha esaurito le sue forze, eppure riesce ad avere un incredibile alto guizzo per afferrare la strada della salvezza. Continuavo a bere e ad afferrare l’acqua e gorgogliavo insieme ad essa e mi pareva di amarla come mai prima d’ora. Infine, esausta ma ritemprata, mi gettai nuovamente a terra, ansimante, e aspettai che il cuore tornasse ad avere un battito regolare. Ora non sentivo più quel terribile dolore alla testa, anche le mie viscere avevano smesso di ardere e la frescura sulla pelle cominciava a farmi sentire il corpo più leggero. E anche il mio pensiero iniziava a schiarirsi.

Io ero Arianna, questo lo ricordavo bene. E stavano riaffiorando alla mente alcune scene di gioia: sì, ricordavo un uomo tornato felice da un’impresa ritenuta impossibile ma che, grazie al mio filo, aveva ucciso quel mostro, il Minotauro, che divorava vittime innocenti e aveva salvato se stesso e il nostro amore. Ricordavo che dovemmo scappare di corsa sulla nave, fuggire da quella terra per non incorrere nelle ire di mio padre; ma io ero pronta a seguire ovunque l’uomo che mi avrebbe dovuto rendere felice per il resto dei miei giorni. Ricordavo che sulla nave mi abbracciava e rideva e mi stringeva e poi mi porgeva un calice per brindare alla nostra fortuna, al nostro amore. E io lo bevvi tutto… e non ricordavo altro. Allora capii che in quella bevanda dal sapore dolcemente aspro, Teseo aveva sciolto un potente sonnifero per potermi abbandonare e avere il tempo di fuggire lontano, facendo perdere ogni sua traccia.

D’istinto mi alzai in piedi e urlai con tutte le mie forze e con tutta la disperazione di una donna che in un attimo ha la consapevolezza di avere perso tutto: la sua casa, i suoi affetti, il suo passato, il suo amore… e avevo la sensazione di avere perso anche il mio futuro.

Non so per quanto tempo ho gridato oltraggiando quel bastardo che si era preso gioco di me, rubando la mia innocenza e il mio cuore per poi gettarli lì, in un posto sconosciuto, senza pietà; lui, il grande eroe, il grande Teseo: che sia maledetto insieme a tutta la sua stirpe!

Poi caddi in ginocchio e piansi tutte le lacrime che mai avevo pianto nella mia vita: piansi per me, per la mia ingenuità, per la mia incapacità di vedere chi è l’uomo davvero, per non aver capito fino a che punto un uomo può ingannare e fingere pur di raggiungere il suo scopo, piansi per tutto quello che avevo perso e per quei sogni irrimediabilmente svaniti, sgretolati, dispersi, uccisi dalla mano di un vigliacco. E mentre piangevo, graffiavo con le unghie il terreno come se avessi potuto far male a Teseo; non sentivo dolore e mi fermai solo quando vidi tutte le mie mani gocciolare sangue e terra. E poi mi riaddormentai esausta, sperando di non svegliarmi più, di potere finalmente scendere nell’Ade.

Ma io sono Arianna, la nobile Arianna… e scelsi di continuare a vivere… nonostante tutto.

Seppi poi che quella era l’isola di Nasso, un’isola che ben presto mi divenne amica e divenne la mia nuova casa.

Basta. Non voglio dire altro.

Vuoi farmi ancora una domanda? Va bene, ancora una soltanto. Vuoi sapere se, tornando indietro, rifarei le stesse cose e vuoi anche sapere se ho trovato un altro amore. Ma queste sono due domande! D’accordo, sazierò la tua curiosità perché capisco che la mia storia non è così rara; chissà quante altre Arianna sono state e saranno ingannate da altri Teseo…

Sai, quando ancora ricordo quel primo incontro con Teseo, che era appena sceso dalla sua nave, quando ancora rivedo quegli occhi scintillare di sole e di ardire e quello sguardo che catturò il mio senza parlare, o ripenso a come accarezzava la mia pelle con una insospettabile dolcezza per un duro eroe… no, non so se riuscirei a rinunziare a tutto questo. L’amore a volte è anche pazzia.

E cosa importa sapere se poi ho trovato altri amori con altre storie… fu Teseo il mio primo amore, fu Teseo che per primo s’impossessò del mio cuore e bevve ai miei pensieri e ai miei sospiri.

Ecco perché conservo ancora questo filo: per continuare ad amare e odiare il mio primo amore.

ARIANNA ABBANDONATA DA TESEO 

Non conoscevo le strade dell’amore,

ignara sognavo carezze

di mani non use alle armi.

Ma non ha leggi il destino.

Così pensai di riconoscere amore:

era Teseo, era un prode

ma lo volevo mio eroe.

Gli diedi un filo e una spada

per uccidere un mostro

e tornare a me,

attraversando i labirinti

del mio cuore.

E con quel filo l’avrei avvinghiato

a me per sempre,

sazia d’amore e di dolcezze.

Ma lo recise, mentre ero inerme.

Altro non so.

L’ho maledetto, Teseo, per l’inganno

e per il gesto vile,

per mille anni ancora oltre i suoi giorni…

ma se tornassi indietro,

ancora gli darei il mio filo,

perché non ha leggi

l’inspiegabile mondo dell’amore.

Palma Civello (per gli amici “Mirella”)

P.S.: Palma Civello è nata e vive a Palermo.  Laureata in lettere classiche con il massimo dei voti, ha insegnato nelle scuole secondarie. Da tempo si dedica con passione alla pittura e alla fotografia, ma ancor più ama scrivere poesie e racconti.

Ha pubblicato nel 2008 il libro di racconti Volti e svolte al telefono con la Casa Editrice “La Zisa” di Palermo, nel 2011 con la stessa Casa Editrice la sua prima raccolta di poesie Ho liberato le parole, nel 2017 altri racconti intitolati Nodi di donne (ed. Drepanum). Di più recente pubblicazione (gennaio 2020) è un altro libro di racconti, Fili della vita (Il Convivio editore), di cui ho avuto già modo di parlare in questo mio blog.

Ha ottenuto diversi premi letterari in numerosi e prestigiosi concorsi nazionali per opere sia in poesia che in prosa.

Nel 2018 ha conseguito il Master in psicologia dell’arte e della letteratura con una tesi sulla fototerapia e la fotografia terapeutica.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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