Il Sassolino nelle scarpe

Questa mattina, mentre ero in giro in occasione delle manifestazioni delle “Vie dei tesori” per una Palermo splendente, luminosa e inondata di turisti (soprattutto settentrionali), ho avuto la sventura di vedere ai Quattro Canti l’obbrobriosa scultura bianca a forma di “macchina demolitrice” che è stata follemente collocata (per fortuna a titolo provvisorio) al centro di una delle più splendide piazze d’Europa.

L’opera di Arcangelo Sassolino, “Elisa”, è stata voluta dal Comune di Palermo (in piena agonia comatosa) per la ricorrenza del 23 maggio ed è composta da un esagono in cemento armato sul quale è stato poggiato il braccio meccanico di un escavatore.

Non riferisco per carità di patria i commenti sardonici, meravigliati, “schifiati” dei turisti, che a me ricordavano quello di Fantozzi a proposito della “Corazzata Potemkin”.

Mi pare invece opportuno trascrivere la roboante “didascalia” affissa al reticolato, che – senza neanche rispetto per la sintassi nella parte centrale (“premia gli indifferenti, ai moderati…”) – recita così:

«ELISA di Arcangelo Sassolino – Nel salotto della più fragile grande bellezza dell’architettura storica della città di Palermo, la brutalità del cemento, seppur temporaneo, e l’ottusità della macchina demolitrice, che mangia tutto, anche il suo stesso altare di presunzione. Opera accusatoria verso quella palude culturale che fa urlare contro l’arte contemporanea nei luoghi storici e premia gli indifferenti, ai moderati che negli anni hanno taciuto sull’abusivismo speculativo di Cosa Nostra e del Sacco di Palermo. La bestia bianca, come un sepolcro, come un demonio di ferraglia, è una provocazione passeggera, come un improvviso riflesso sconcertante nello specchio di un’inattesa vetrina che ci rivela come davvero siamo, ipocriti e fragili. FONDAZIONE FALCONE».

In effetti, sono innegabili “la brutalità del cemento” (che ci si augura davvero “temporaneo”) e “l’ottusità della macchina demolitrice”; quanto alla presunta “opera accusatoria verso la palude culturale”, sembra destinata a impaludarsi in un ben peggiore pantano di saccente snobismo autoreferenziale.

La “bestia bianca” ottiene sicuramente il risultato di “mandare in bestia” qualunque palermitano ammiri la bellezza e il decoro; che poi Cosa Nostra possa preoccuparsi minimamente di questo “demonio di ferraglia” e di questa “provocazione passeggera” è, più che improbabile, inverosimile: anzi, più si crea il brutto (con farneticanti scopi di protesta e di denuncia), più si accentua l’opera di devastazione della bellezza di Palermo che da molti decenni viene perpetrata impunemente.

Non si combattono certo così l’illegalità, la mafia e l’abusivismo; non si ottiene nulla di concreto e di risolutivo con operazioni cervellotiche e pseudoculturali di questo tipo. Che poi la “macchina demolitrice, che mangia tutto” (compreso il cervello di chi l’ha concepita) riesca a rivelare “ipocrisie e fragilità” non sembra proprio, vedendo gli sguardi allibiti dei turisti.

E chiunque osi pontificare – con la consueta arroganza – che le provocazioni devono essere fatte per scuotere le coscienze, impari invece a confrontarsi con i veri problemi della gente, con il suo modo di pensare, con la realtà concreta di tutti i giorni.

Il bello è che, come sempre avviene in questo ambiente di persone fuori dal mondo e dalla realtà, non sono mancate le (auto)celebrazioni di rito:

1) Vittorio Sgarbi (con la consueta faccia da “passapititto” e spregiatore dell’universo creato) ha commentato così: «Più che una scultura, è un’idea che pone l’accento sul degrado legato alla violenza della mafia, sull’abbattimento di edifici liberty per sostituirli con il cemento armato, alla speculazione selvaggia. Un’immagine meccanica della contemporaneità che non vuole competere come scultura ma come concetto. La ruspa come conseguenza di una vittoria contro la mafia e il male». Concetto per me non chiarissimo (ma forse non lo capisco io, da “capra” come mi definirebbe l’insigne docente): se la ruspa è “conseguenza di una vittoria contro la mafia” non sembrerebbe un gran successo…

2) Un sito di “Arte e cultura italiana” (http://www.rosarydelsudartnews.com) definisce il mostro bianco «un’opera monumentale di grande potenza», ne racconta la storia e ne esalta la funzione: «L’escavatrice si trovava in un cantiere, completamente bruciata, bloccata per questioni di appalti e dalla madre macchina, Arcangelo Sassolino ha dato nuova vita al braccio meccanico donandole un cuore [artificiale] attraverso un sistema idraulico. La scultura si presenta come una bestia primitiva che incide il cemento, lo spacca e distrugge lo stesso piedistallo su cui poggia. I tre bracci, svincolati l’uno dall’altro, creano forme diverse nello spazio. L’arte offre spunti di riflessione e pone interrogativi: l’opera di Arcangelo Sassolino evoca i tanti saccheggi architettonici e urbanistici che la mafia ha compiuto in tutta Italia, in particolare a Palermo e in Sicilia». Meravigliosa sintesi, come si vede, cui però sfugge il fatto evidente che, mentre si evocano “i tanti saccheggi architettonici e urbanistici”, se ne sta compiendo così un altro, non meno osceno.

Ora si può solo sperare che al più presto i palermitani si tolgano il Sassolino dalle scarpe e sia spazzata via questa “provocazione passeggera” (la quale però, frattanto, avrà purtroppo ottenuto lo scopo di far tornare alle loro case centinaia di turisti e di cittadini palermitani con i sintomi dolorosi di un maleducatissimo pugno in un occhio).

P.S.: il 24 maggio scorso, appena terminata, l’installazione ai “Quattro canti” era crollata con un grande boato; come si legge su Palermo News 24, «in realtà non si era verificato alcun incidente che danneggiasse la struttura: gli organizzatori hanno spiegato che si è trattato di un “percorso emozionale” dell’opera. Il braccio meccanico è funzionante, ma il suo percorso prevede una serie di movimenti fino alla caduta e al danneggiamento della base. Un meccanismo previsto e simbolico».

Fantastico! Se dunque qualche notte sentite un altro boato, non preoccupatevi e non “santiate”, ma godetevi questo non richiesto percorso “emozionale”: è del tutto gratuito (in tutti i sensi della parola).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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