Un tempo le estati italiane erano caratterizzate dall’anticiclone delle Azzorre, che garantiva tempo stabile e soleggiato, temperature “ragionevoli”, brezze fresche nelle località sul mare, “arrifriscata” pomeridiana dopo le 18, serate piacevoli (ricordo che in vacanza, a Bagheria, la sera ci siedevamo all’aperto nel giardino di casa: e spesso occorreva un maglioncino perché “frisculiava”).
Quest’antica tipologia di estate mediterranea, di un caldo piacevole e ragionevole, era pure aliena dai frequenti fenomeni estremi opposti, come nubifragi, minicicloni, trombe d’aria e “bombe d’acqua”.
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In particolare cinquanta anni fa, il 24 giugno 1972, le temperature registrate a Palermo Punta Raisi furono 21°/24°; in tutto il mese non si superarono mai i 30° e nella prima parte del mese le minime scendevano spesso sotto i 20°. Ovviamente l’aeroporto è a 25 km dal centro, è molto ventilato e registra temperature mediamente più miti, ma è evidente che anche i 28/29° della città, soprattutto con minore tasso di umidità, erano più ragionevoli e sopportabili di quanto lo siano oggi.
Io avevo allora 18 anni ed ero (come sono tuttora) appassionato di meteorologia; tabulavo (a mano, non esistendo excel) le temperature mensili di Genova e Palermo, seguivo il colonnello Bernacca, studiavo le carte meteo su qualche rivista specializzata (ovviamente mancavano internet, le carte satellitari, i siti stranieri…) e azzardavo previsioni che a volte erano azzeccate.
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Negli anni Ottanta tutto cambiò. La svolta, a memoria mia, avvenne nell’estate del 1982, quella dei mondiali di Spagna, che furono vinti dall’Italia. A giugno ci fu una terribile ondata di caldo. A Palermo per giorni e giorni le minime della notte (!) si fermarono sui 30-32 gradi e le massime superavano i 40 gradi; quei mondiali furono “sudati” in tutti i sensi.
Il mio caro amico Toti ricorda di essersi affacciato una notte, con un’aria ferma torrida e con il fuoco che incendiava tutte le colline intorno a Palermo: un vero scenario da inferno dantesco. I criminali piromani da anni hanno trovato l’America in Sicilia (e seguono le previsioni del tempo molto più e molto meglio di coloro che dovrebbero – non si sa come – combatterli).
Allora non era facile avere in casa impianti di aria condizionata: in quel torrido 1982 i ventilatori si arrendevano alla furia del nemico, la notte era un inferno bollente e insonne, il sole fin dai primi raggi dardeggiava tracotante a far capire senza equivoci chi fosse il vero padrone da queste parti.
Mi venivano spesso in mente, allora, le parole rivolte dal tomasiano Principe di Salina a Chevalley: “questo clima che c’infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi, […] questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo”.
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Un piccolo illusorio miglioramento si ebbe pochi anni dopo, allorché acquistai il nostro primo condizionatore portatile, il “Pinguino” De Longhi, che – trasportato di stanza in stanza – costituiva un’oasi semovente di effimero benessere. Effimero per tre motivi: 1) il Pinguino era figlio unico e quindi doveva distribuire i suoi limitati servigi a turno nelle varie stanze, rinfrescandone una ma lasciando illese e infuocate le altre; 2) scaricava acqua in un bidone, che – se si riempiva – tracimava acqua e inondava il pavimento (il che voleva dire che a metà della notte si doveva svuotare il bidone, svegliandosi naturalmente o artificialmente); 3) era rumorosissimo, per cui il sonno era comunque precario.
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Con gli anni, diventato sempre più intollerante al caldo, ho stabilito un patto d’acciaio con l’aria condizionata (per me Willis Haviland Carrier, l’inventore dell’aria condizionata, è uno dei massimi benefattori dell’umanità): alcuni anni fa, quando abbiamo ristrutturato casa, ho fermamente voluto che fossero installati in ogni stanza i condizionatori.
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Ora sopravvivo all’estate sahariana, anche per la mia “aurea mediocritas” oraziana: infatti regolo saggiamente i condizionatori sui “draghiani” 25°-26°, un minimo sindacale che però consente benessere assoluto, assenza di sudori e di danni collaterali, possibilità di muoversi e lavorare senza soffrire. Le notti trascorrono serene, foriere di sonno ristoratore. Unica controindicazione: non si dovrebbe mai uscire di casa; ma dopo tutti i lockdown di questi anni non è facile accettare ulteriori arresti domiciliari.
Ovviamente, non mancano mai le discussioni con chi la pensa diversamente: come ci sono stati i no-vax, così esistono i… no-air, persone fissate con l’aria naturale, con la speranza messianica nei refoli di venticello immaginario, con l’avversione alle nuove tecnologie, con la diffidenza verso questa aria “non naturale”, ritenuta malefica e foriera come minimo di reumatismi e malanni vari.
Ancora oggi molti miei conoscenti, pur disponendo di condizionatori, ne fanno un uso parco e circoscritto e – in definitiva – si arrendono al benessere artificiale solo quando proprio è necessario. Anche mia madre era ostile all’aria condizionata: e anche se le avevo installato due pompe di calore in casa, le teneva spente godendosi il clima neosahariano di Bagheria senza battere ciglio.
La situazione di oggi, 24 giugno 2022, è sotto gli occhi, direi sotto le ascelle di tutti: basta mettere il naso fuori e si sente una cappa di afa insopportabile.
Stamattina la minima della notte, in pieno centro di Palermo, è stata di 26°3; ieri la massima è stata di 34°. E questo è niente, anzi è “palìco” (come si dice qui), rispetto alla situazione generale dell’isola: come segnala la sadica app Meteo.it, oggi si prevedono 41° a Siracusa, 40° ad Agrigento, 39° a Catania e Ragusa.
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Di chi è la colpa? Dell’inesorabile anticiclone africano, cui vengono sempre assegnati improbabili nomi storico-biblico-mitologici come Caronte o Lucifero o Scipione, già alla terza ondata di calore di quest’anno, che al Sud e nelle isole non ha nessuna intenzione di demordere.
Oggi invece l’alta pressione subirà un parziale indebolimento sulle regioni del Centro-Nord e in Sardegna, sotto la spinta di una perturbazione che porterà un po’ di piogge (troppo poche e irregolari purtroppo) sulle regioni settentrionali.
In Sicilia, però, mettiamoci il cuore in pace e combattiamo la calura come possiamo; tanto, come sono solito dire scherzando, “non durerà”. Al mio fruttivendolo morto di “càvuru” che si lamentava della temperatura bollente, ho detto: «Non può durare: al massimo, cosa di tre-quattro mesi può essere». Mi ha guardato stonato; ma non dicevo nulla di falso…