Il PD e la sindrome di Zilioli

Negli anni 1964, 1965 e 1966 il Giro d’Italia fu vinto, rispettivamente, dal francese Jacques Anquetil, da Vittorio Adorni e da Gianni Motta. In tutte e tre le edizioni al secondo posto si classificò il ciclista torinese Italo Zilioli, che restò nella memoria di noi ragazzi di allora come “l’eterno secondo”.

Zilioli era una persona garbata, gentile, umile, che ottenne anche qualche successo (nel 1970 per alcune tappe fu maglia gialla al Tour de France), ma si portò sempre dietro questa fama malefica di eterno sconfitto; oggi, da quanto leggo, ha 81 anni e vive in provincia di Cuneo.

Italo Zilioli

La condizione di “eterno secondo” secondo me potrebbe essere sintetizzata con il termine di “sindrome di Zilioli” e potrebbe tranquillamente essere affibbiata al PD.

Lo dice espressamente Enrico Letta, il suo agonizzante segretario (ma quanto dura l’agonia di un segretario?) che ieri, dopo la sconfitta elettorale in Lazio e Lombardia, ha così commentato: «Il PD rimane saldamente seconda forza politica e primo partito dell’opposizione».

Evidentemente in una competizione elettorale non conta vincere, ma rimanere “saldamente” al secondo posto e accontentarsi di essere al primo posto nel proprio ambito, alla testa degli altri sconfitti.

Enrico Letta

In realtà il PD si è piazzato al terzo posto, dato che al primo va, ancora una volta, il P.A.I.: così il 23 settembre scorso, prima delle elezioni politiche, ho definito il “Partito degli Astensionisti italiani”, che è il vero primo partito d’Italia.

Ma di questo partito-ombra, formato da cittadini-non cittadini che rifiutano il diritto di voto (un diritto rimpianto amaramente in moltissimi Paesi che non lo possiedono), è quasi inutile parlare, visto che ai suoi componenti non appare evidente l’incongruenza del loro comportamento asociale-apolitico-agnostico.

Del resto non pare che in questa ultima campagna elettorale nessun partito si sia veramente impegnato in un “porta a porta” capillare per rintracciare i membri del PAI e per parlare seriamente con loro (eppure era la prima cosa da fare); ma a chi è già primo forse non conveniva, mentre gli Zilioli di turno non sono tali senza motivo…

Negli anni Settanta, Indro Montanelli, rivolgendosi all’opinione pubblica moderata, detta anche “maggioranza silenziosa” (mi sono sempre chiesto come possa diventare maggioranza chi sta zitto), temendo l’egemonia “comunista” invitò gli elettori a “turarsi il naso” e a “votare Dc” (tanto a turarsi il naso erano abituati da tempo anche gli elettori di quel partito lungamente egemone). Ora ad astenersi dal voto sono grosso modo 6 italiani su 10, ma su questo problema si lavora davvero poco, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Lasciamo il PD alla sua “sindrome di Zilioli”, in attesa delle primarie del 26, da cui dovrebbe venire fuori il nuovo gruppo dirigente.

Ma questi nuovi dirigenti dovrebbero anzitutto rileggersi l’intervista rilasciata da Zilioli a Valeria Paoletti, nella quale il ciclista torinese dichiarò onestamente: «Non avevo la mentalità per le corse a tappe. Ero insicuro, come anche oggi. Cercavo le vittorie parziali, pensando così di riuscire intanto a mettere via qualche cosa (vittorie, ma anche un po’ di sicurezza), ma con questa mentalità non calcolatrice non si riescono a programmare e centellinare gli sforzi, come bisogna fare per vincere le corse di tre settimane. Ero istintivo e alla fine della gara finivo secondo, terzo o quarto in classifica generale, ma non avevo la testa del corridore di grandi corse a tappe».

Per vincere le gare ciclistiche occorrono le gambe, ma anche “la testa”; Zilioli lo aveva capito…

Nel frattempo, la coalizione di centro-destra appare sempre più colpita da una “sindrome di Merckx”, credendosi ormai destinata a una vittoria facile e perenne; e questo malgrado le incontrollabili esternazioni di Berlusconi (nei momenti in cui gli sale la pressione) e malgrado le difficoltà a livello europeo e sul fronte interno).

Una valutazione obiettiva dovrebbe ammonire gli Zilioli a fare di tutto per riconoscere le proprie mancanze e per cercare di riuscire a vincere uno straccio di gara; e parallelamente dovrebbe convincere i Merckx che non tutte le ciambelle riescono col buco e che la vittoria di oggi non garantisce un successo costante.

Ma, al giorno d’oggi, chi riesce a fare valutazioni obiettive?

Almeno, nel Giro d’Italia, Merckx stimava davvero Zilioli e Zilioli ammirava Merckx; ma oggi nessuno riconosce niente al proprio avversario, abituato com’è a demonizzarlo in tutto. Ne risente la bellezza della gara (cioè, fuor di metafora, la competizione politica e quella che una volta si chiamava “la bellezza della politica”); e ne risente l’audience, perché il P.A.I. recluta i suoi sempre più numerosi seguaci fra coloro che non amano né Merckx né Zilioli e forse rimpiangono utopisticamente Coppi e Bartali, cioè grandissimi campioni di cui oggi non si scorge nemmeno l’ombra, capaci – loro sì – di vincere le gare in modo semplice, automatico e perentorio, con la forza delle gambe ma soprattutto “con la testa”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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