Un anno di Covid – VII

Proseguo la raccolta di alcuni dei miei post pubblicati su Facebook nel periodo della pandemia, a testimonianza e ricordo dell’esperienza terribile vissuta da tutti noi.

Il primo articolo, del 27 aprile 2020, si intitolava «La fase 1B e la visita ai “congiunti”».

Partendo da un articolo di Paolo Giordano sul “Corriere”, che apriva all’imminente “fase 2” dell’epidemia, parlavo più prudenzialmente di “fase 1b”. Infatti permanevano restrizioni e divieti, resi necessari dal persistere dei contagi e dall’assenza di vaccini; in particolare, per la ripresa delle attività lavorative rimanevano problemi non indifferenti.

La seconda parte del testo commentava invece la norma sulle visite ai “congiunti”: ne veniva fuori una dissertazione su questa rivalutazione dei legami “genetici” a scapito dei rapporti con le altre persone, come gli amici più cari.

L’ultimo pensiero andava agli adolescenti, “, reclusi in casa da mesi, privi della possibilità di vedere di persona un compagno, di stare con un coetaneo (sia pure mascherati e a un metro di distanza) senza doverlo vedere nello schermo del pc o del telefonino”.

19) 27.04.20

LA FASE 1B E LA VISITA AI “CONGIUNTI”

Sul “Corriere della Sera” di oggi Paolo Giordano (fortunatamente diverso da Mario Giordano…), esamina così la situazione attuale: “Apriamo perché ci auguriamo di aver imparato una serie di norme e di mantenerle a lungo, perché il virus forse, chissà, si dice, è diventato meno aggressivo. In realtà, abbiamo chiuso in ritardo per salvaguardare il comparto produttivo e apriamo adesso, raffazzonati, per salvaguardare il comparto produttivo. Anche il quadro epidemico si piega davanti all’ipotesi di un’economia strangolata”.

In forma più nobile, Giordano dice la stessa cosa che un mese fa aveva detto un fruttivendolo di corso Olivuzza a Palermo, riaprendo alla faccia dei divieti il suo negozio abusivo e proclamando categoricamente: “Ci abbastò” (Ora basta).

In effetti i dati migliorano, ma il contagio continua; si entra quindi nell’apparente fase 2 (che io realisticamente definirei “fase 1B”) con i piedi di piombo e con l’ormai consueto invito alla responsabilità; infatti, come aggiunge Giordano, “quella a cui stiamo per essere sottoposti è la più grande sperimentazione mai fatta sulla nostra responsabilità individuale”.

Ieri sera il premier ha comunicato il suo nuovo slogan (destinato a integrare e non sostituire il precedente “Io resto a casa”): “Se ami l’Italia, mantieni le distanze”. Infatti la fase 1B, per la stragrande maggioranza degli Italiani, si limiterà alla riaffermazione di infinite regole e divieti e alla perentoria imposizione del distanziamento sociale.

Ripartono, sì, diverse attività produttive e industriali (prevalentemente per l’export), ripartono le attività manufatturiere, il commercio all’ingrosso e i cantieri privati; ma per il commercio al dettaglio la ripresa è ipotizzata per il 18 maggio, mentre parrucchieri ed estetisti dovranno attendere il 1° giugno.

In proposito, sempre sul “Corriere” odierno la titolare di alcuni negozi di abbigliamento a Roma e Porto Ercole commenta così: “Riaprire il 18 maggio la vendita al dettaglio significa condannare a morte molti di noi. Conte distrugge il nostro sogno di ripresa. Che senso ha riavviare le industrie tessili se i negozi non potranno ricevere la merce? Quando riapriremo sarà quasi ora dei saldi”. Inoltre, la norma che prevede per i locali di 40 m2 l’accesso di un cliente alla volta metterà definitivamente in ginocchio un’infinità di esercenti che hanno locali angusti. Oggi sentivo parlare di entrate e uscite distinte nei bar: ma moltissimi bar sono mediamente piccoli ed hanno un unico accesso…

Molti Italiani ieri sera hanno compreso (se non l’avessero intuito prima) che la tanto attesa Fase 2 (anzi 1B) non modifica quasi nulla. In particolare, nell’articolo 1 f delle nuove “Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale” si legge che “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; è consentito svolgere individualmente, ovvero con accompagnatore per i minori o le persone non completamente autosufficienti, attività sportiva o attività motoria, purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l’attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività”.

Insomma, per la stragrande maggioranza di noi, che vorrebbero soltanto prendere un po’ più di aria, i casi sono tre: 1) o si millanta di essere “sportivi”, indossando una tuta ginnica; 2) o si accampano con l’ennesima nuova autocertificazione le solite motivazioni (la spesa, il cane, la necessità impellente, la salute, il lavoro); 3) o… ci si procura un parente.

Infatti, l’art. 1a recita così: “si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento e vengano utilizzate le mascherine, ecc. ecc.”. Il governo dunque ammette la possibilità di andare a trovare un parente, dopo tanta forzata separazione; tuttavia non si deve trattare di “assembramenti” (le famiglie numerose sono avvertite) e viene invocato il “distanziamento” (cioè ci puoi andare ma non ti devi avvicinare troppo). Inoltre si esclude la possibilità di “rimpatriate”, di stare insieme “ad libitum”, di mangiare insieme, di frequentarsi quanto e quando si vuole. Gli “arrostitori” incalliti, insomma, dovranno continuare a conservare la “diavolina” del barbecue in attesa (lunga attesa) di tempi migliori.

Ovviamente, non mancano innegabili aspetti positivi della norma sui “congiunti”: dopo la lunga separazione molte persone potranno riabbracciare i figli o i genitori anziani (questi ultimi con particolare prudenza). Si allude però implicitamente (la comunicazione “implicita” in questi tempi ha definitivamente annichilito quella “esplicita”) a parenti “stretti”; e in questa ristretta cerchia dovrebbero rientrare fratelli e sorelle, già meno i cugini e gli zii. C’è di più: in molte situazioni il “congiunto” (anche “stretto”) è di fatto un “disgiunto”, allontanato da anni per reciproco malanimo, per piccole e grandi invidie, per il reciproco disinteresse o, peggio, per un bieco interesse. Ora magari si riannoderanno improbabili legami genetici per il comune interesse di respirare una boccata d’aria?

Non basta ancora. Se il governo consente la visita ai “congiunti”, per il momento non prevede le altre relazioni sociali (del resto, vai a prevedere qualcosa in questo momento, vai a chiederlo a quegli ineffabili profeti disarmati che sono i virologi).

Dunque è esclusa la possibilità di vedere quelle persone a noi care che non sono “congiunti” nel sangue, ma che nella nostra vita sono state e sono “congiunte” a noi più profondamente: amici e amiche con cui hai diviso i momenti belli e brutti, persone che ti sono state sempre vicine, fratelli e sorelle non di sangue ma nel cuore.

Mettiamo pure, fra questi “esclusi”, i giovani “fidanzati” che dovranno ancora stare lontani fra di loro e limitarsi ai messaggini telefonici o alle videochiamate. Lo so che “fidanzati” è termine obsoleto; ma, come si legge nel “Corriere”, “raccontano che, durante la cabina di regia con governatori e sindaci, il presidente Conte si sia lasciato scappare la parola ‘fidanzati’, che in tv si è ben guardato dal ripetere”. Del resto, gli “ziti” (va meglio chiamarli così?) non sono ancora “congiunti” e anzi, per ora, sono … incongiungibili.

Inseriamo ancora, fra i rapporti “negati”, quelli con le altre persone che frequentavi per il reciproco piacere della conversazione, dello scambio di benefiche cordialità: un conoscente, un collega, un allievo, un vicino, una persona che faceva parte della tua routine.

E, soprattutto, mettiamoci gli adolescenti, reclusi in casa da mesi, privi della possibilità di vedere di persona un compagno, di stare con un coetaneo (sia pure mascherati e a un metro di distanza) senza doverlo vedere nello schermo del pc o del telefonino. Del resto, dove mandarli questi ragazzi? A scuola no (tanto la DAD è tratta); per il resto, “sono sospese le  attività  di  palestre,  centri  sportivi,  piscine,  centri  natatori,  centri  benessere, centri termali, centri culturali, centri sociali, centri ricreativi”…

La situazione è problematica. Indubbiamente, decidere non è facile, non è semplice stabilire che cosa si possa autorizzare e che cosa no. Inoltre è evidente che c’è stata la volontà, teoricamente comprensibile, di uniformare le decisioni per tutto il territorio nazionale e di evitare i ricorrenti regionalismi; questa volontà deve però fare i conti con un Paese che, già spaccato in tutto, ha avuto anche una diversa distribuzione dell’epidemia, con dati abissalmente differenti fra regione e regione.

Conte ha invitato alla calma: “Non affidiamoci alla rabbia e al risentimento, non cerchiamo colpevoli ma pensiamo a fare il meglio per consentire la ripresa”. Basterà l’appello?

Il post del 3 maggio 2020, “De propinquis usque ad gradum sextum” riprendeva e sviluppava il discorso del precedente.

Partendo da un passo di Cicerone, che esaltava l’importanza dell’amicizia, ironizzavo sulla possibile composizione di un nuovo trattato filosofico, per mano del presidente Conte, in cui fosse discusso il controverso concetto di “parenti fino al sesto grado”, gli unici “visitabili” e “frequentabili” nella nuova “fase 2”.

Concludevo con un’esaltazione, sincera quanto mai, dei vincoli di amicizia: nell’attesa che la lunga nottata passasse.

20) 03.05.20

DE PROPINQUIS USQUE AD GRADUM SEXTUM

“Io posso soltanto esortarvi ad anteporre l’amicizia a tutte le cose umane; nulla è infatti così conforme alla natura, così adatto ai momenti felici e a quelli avversi” (“ego vos hortari tantum possum ut amicitiam omnibus rebus humanis anteponatis; nihil est enim tam naturae aptum, tam conveniens ad res vel secundas vel adversas”).

Così dice Lelio nel “Laelius de amicitia” di Cicerone (cap. 17). Ma non basta; sentite questo altro passo: “L’amicizia in questo è superiore alla parentela: alla parentela si può togliere l’affetto, all’amicizia no: infatti, tolto l’affetto, viene eliminato il nome stesso di amicizia, ma rimane quello di parentela” (“Namque hoc praestat amicitia propinquitati, quod ex propinquitate benevolentia tolli potest, ex amicitia non potest; sublata enim benevolentia amicitiae nomen tollitur, propinquitatis manet”, cap. 19).

Come definire l’amicizia, allora? Lelio afferma così: “L’amicizia non è altro che un perfetto accordo nelle cose divine e umane, unito con un sentimento di benevolenza e di affetto” (“Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio”, cap. 20).

Bellissima esaltazione dell’amicizia e del rapporto con gli amici: tanto che Lelio arriva a dire: “non so se, eccettuata la sapienza, dagli dèi sia stata data all’uomo cosa migliore” (“qua quidem haud scio an excepta sapientia nihil melius homini sit a dis immortalibus datum”).

Ora, non si sa in quale fase vivessero Lelio e il suo defunto (forse di coronavirus) amico Scipione Emiliano; certo non nell’imminente nostra fase 2.

In questa fase, infatti, Giuseppe Conte ipotizza la pubblicazione di un nuovo trattato filosofico: “De propinquis usque ad gradum sextum”; anzi, a dirla tutta, un’apposita task force di latinisti trombati discute in queste ore se optare per titoli alternativi come “De sexto gradu cognationis” o “De propinquitatis vinculis”.

Infatti, come è noto, ieri è stato spazzato via l’equivoco terminologico sul termine “congiunti” utilizzato dal premier in occasione dell’avvio della nuova fase. Ora Palazzo Chigi fa chiarezza (!): i congiunti sono i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono unite da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come per esempio i figli dei cugini fra loro) e gli “affini” fino al quarto grado (come per esempio i cugini del coniuge). Dunque, sono salvi i fidanzati e i “compagni” (si era temuto il peggio per le relazioni “in fieri” e per quelle “non ufficiali”); e poi dicono che questo è un governo arcaico e bigotto (di un bigottismo curioso, peraltro, a sentire le proteste episcopali). E gli amici? No, gli amici no, dice il governo: “per relazioni affettive non si intendono gli amici”.

Scrive in proposito Michela Marzano su “Repubblica” di oggi: «Come si fa a trovare la forza per ricominciare a scommettere sull’esistenza quando viene negata la possibilità di stare accanto alle persone più fidate? L’essere umano – lo sappiamo dai tempi di Aristotele – è un “animale sociale” che, per vivere, ha bisogno di forti legami con i propri simili. Ma i legami più importanti sono proprio quelli amicali. È sempre Aristotele a dirlo nell’Etica Nicomachea. Subito prima di concludere: “Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere anche se possedesse tutti gli altri beni”. Peccato che nessuno, tra gli autori del documento che doveva chiarire chi si potrà incontrare da domani, si sia andato a rileggere i testi del padre della filosofia morale. O semplicemente abbia pensato alle vere relazioni che contano».

Ma come fanno, poveri politici, a pensare all’amicizia, quando amici veri non ne hanno, quando vivono in un nido di serpi, come l’attuale governo giallorosso ex gialloverde con infiltrazioni azzurre e siluri acromatici renziani? Come si fa a credere nell’amicizia di chi oggi dice bianco, domani nero, dopodomani nega di aver detto nero e dice che aveva detto bianco e che sei tu ad aver capito nero?

Meglio ripiegare su parenti e “affini”, chiarendone ovviamente le basi giuridiche: la parentela è il vincolo che lega le persone che discendono dallo stesso “stipite” (volgarmente detti “consanguinei”), mentre l’affinità è il vincolo che unisce un coniuge ai parenti dell’altro coniuge (ad esempio una persona è affine in linea retta di primo grado con i propri suoceri, mentre è affine in linea collaterale di secondo grado con i cognati).

Che bel trattato verrà fuori da questa situazione ingarbugliata! Finalmente sarà eliminato lo studio dell’obsoleto “De amicitia” ciceroniano, si scriverà un testo moderno, agile, chiaro soprattutto, che ci farà scoprire i veri valori della vita: la parentela allargata sino al sesto grado (nientemeno! i figli dei nipoti dei cugini dello zio Peppino) e gli “affini” che i “maritati” si sono ritrovati (visto che conveniva sposarsi?).

E gli amici? Ma chi sono costoro? “Per relazioni affettive non si intendono gli amici”. Del resto, nella diffidentissima Sicilia si dice “Amici e guardati!” (salvo a dare più fiducia agli “amici degli amici”, che garantiscono un maggior distanziamento sociale).

Per gli amici c’è tempo.

Tanto loro aspetteranno che passi la nottata. Tanto, quando li rivedrai (alla fase 4), potrai tirar fuori (come un libro sopravvissuto a fiammate degne di “Fahrenheit 451”) il deplorevole trattato “Laelius de amicitia” e leggere con l’amico ritrovato queste altre strampalate righe: “Io veramente, di tutte le cose che la fortuna o la natura mi ha dato, non ho nulla da poter paragonare con l’amicizia di Scipione” (“Equidem ex omnibus rebus quas mihi aut fortuna aut natura tribuit, nihil habeo quod cum amicitia Scipionis possim comparare”, cap. 103).

L’ultimo post, per oggi, risale al 6 maggio 2020 e si intitola “È arrivato l’arrotino”.

Nell’ «altoparlante gracchiante» dell’arrotino che tornava a passare sotto casa mia coglievo una voce di speranza e di rinascita; descrivevo anche gli altri sintomi di un ritorno a una vita più “normale”: gli operai e i baristi al lavoro, il traffico palermitano, il ritorno (dopo un apparente periodo di solidarietà globale) alle piccole “faide” quotidiane.

E il virus? Restava “acquattato in standby”.  

21) 06.05.20

È ARRIVATO L’ARROTINO

«Donne, è arrivato l’arrotino. Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da prosciutto. Ripariamo cucine a gasse, abbiamo tutti i pezzi di ricambio per le cucine a gasse. Se avete perdite di gasse noi le aggiustiamo, se la vostra cucina fa fumo, noi togliamo il fumo dalla vostra cucina a gasse».

Stamattina il segnale della normalità ritrovata è l’altoparlante gracchiante dell’arrotino (in realtà un’arrotina, a giudicare dalla voce femminile) che passa alle 8,30 dalla mia strada nel centro di Palermo.

Tra parentesi, anche quando sentivo passare la “lapa” dell’arrotino mentre facevo lezione a scuola, mi chiedevo se le “donne” (a quanto pare uniche destinatarie dell’esortazione) si precipitassero effettivamente giù da casa per scendere in strada a comprare coltelli o a prenotare riparazioni. Non mi pare, ma mi posso sbagliare; del resto, se l’arrotino passa, deve esserci anche l’arrotabile e i clienti non dovrebbero mancare. A pensarci bene, se a instaurare il contatto sono le invocate “donne”, che utilizzano – si suppone – coltelli e forbici per l’attività domestica, altri potenziali fruitori di coltelli, coltellacci e attrezzi da sbudellamento dovrebbero essere gli uomini; anzi questi ultimi, la mattina, prima di uscire di casa (nel mondo degli arrotini “lavorano” solo gli uomini), avranno raccomandato alla “donna”: “Se passa l’arrotino, accàttami un cuteddu bellu affilatu”.

L’arrotino è tornato, ma non solo lui (o lei).

Sono tornati da ieri gli operai che lavorano (da un anno) al rifacimento della facciata del palazzo vicino.

Sono tornati i baristi della zona, mascherati e prudenti ma operativi.

È tornato il traffico, con relative frenate, imprecazioni e rischi di incidente a uno degli innumerevoli incroci della squadrata città di Palermo (incroci in cui, come è noto, dare la precedenza a un altro equivale all’intollerabile decurtazione del proprio onore).

Tornano le chiacchiere ad alta voce, che si odono fin dal quinto piano: ieri un forbito commerciante della zona disquisiva filosoficamente sugli “statali” che “non fanno mai un c******” e “si pigghianu i piccioli”.

Tutto normale, dunque, anche il ritorno alle piccole faide fra quelli che (alla maniera di Checco Zalone) hanno la beatitudine del (malpagato) “posto fisso” e le altre categorie che si ritengono meno “privilegiate”. L’unità di intenti, di obiettivi, di pensiero è finita come la fase 1, l’emergenza (in corso) è freudianamente rimossa o ridotta a un fastidioso vicino (uno in più, ne abbiamo già tanti…). Sono anche tornate le contese politiche, le contestazioni (a ben tre ministri), i sospetti, le manovre.

Siamo davvero nella fase 2: ci si rimboccano le maniche, ci si maschera e si riparte, perché il danno è già stato enorme, a tutti i livelli.

E il virus, incontrastato padrone delle cronache negli ultimi mesi? Resta acquattato in stand-by, in attesa forse di capirci qualcosa anche lui sulla situazione, in attesa dell’avversario che dovrebbe sconfiggerlo (vaccino, plasma, cortisone, anticorpi, talismani, silenzio-stampa).

È arrivato l’arrotino, nel frattempo. La vita continua (per chi è stato fortunato). Scendiamo a comprarci un coltello, o facciamo affilare quelli che già abbiamo. Potrebbero servire.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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