“Le Nuvole” di Aristofane a Siracusa

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Da martedì scorso, al Teatro Greco di Siracusa, va in scena la commedia “Le Nuvole” di Aristofane, per la regia di Antonio Calenda (alla sua ottava regia a Siracusa, a partire dall’ “Aiace” di Sofocle nel 1988 e fino alle “Baccanti” euripidee nel 2012).

La scena delle “Nuvole” nell’allestimento di A. Calenda

Ecco la trama della commedia, composta nel 423 a.C.

Il contadino Strepsiade è perseguitato dai creditori a causa del figlio Fidippide, un giovane snob e dissoluto, che pensa solo a scialacquare il patrimonio paterno per la sua irrefrenabile passione per i cavalli. Il contadino, allora, decide di mandare il figlio a studiare l’arte della parola presso il Pensatoio di Socrate, per poter così mettere nel sacco i creditori. Ma, vista la riluttanza del ragazzo, Strepsiade decide di imparare egli stesso gli insegnamenti del filosofo. Così, sotto la guida di Socrate, rappresentato sospeso su una cesta e assistito dal coro delle Nuvole, che hanno preso il posto degli dèi tradizionali, il contadino cerca di apprendere l’arte della parola. Strepsiade si rivela un alunno pessimo ed irrecuperabile, non riesce ad imparare nulla e viene cacciato; ma Fidippide, incuriosito dai racconti del padre, decide di recarsi al Pensatoio. Giunto presso la scuola, il ragazzo assiste alla contesa (ἀγών) tra il Discorso Migliore (simbolo dell’educazione tradizionale) e il Discorso Peggiore (simbolo delle nuove filosofie), che si conclude con la vittoria di quest’ultimo. Fidippide, imparata la lezione, riesce a mandare via i creditori; però, ormai legato alle nuove dottrine, maltratta il padre, arrivando a percuoterlo. Strepsiade, resosi conto dello sbaglio compiuto, infuriato dà fuoco al Pensatoio.

Il testo a noi pervenuto non è quello originale; infatti alle Grandi Dionisie del 423 Le Nuvole furono sconfitte dalla Damigiana del poeta Cratino e dal Konnos di Amipsia. Aristofane, contrariato per una sconfitta che riteneva immeritata, rielaborò la sua commedia per riproporla al pubblico. A noi è giunta dunque la seconda redazione delle Nuvole, che però (per motivi a noi ignoti) non furono mai rappresentate. La rielaborazione è confermata dall’autore, che nella parabasi (lo “stacco” al centro dell’opera, riservato in genere alle “esternazioni” dei poeti) si mostra polemico con quella parte del pubblico che l’aveva “bocciato” (vv. 525-527).

Le Nuvole vanno contestualizzate in un momento storico-politico assai delicato: ad Atene filosofi e retori stavano modificando profondamente i valori e le idee tradizionali e ciò provocava la diffidenza dei tradizionalisti. La situazione politica era conflittuale e ricca di tensione, tanto da sfociare in atti violenti e prevaricatori (tale appare l’incendio del Pensatoio alla fine del dramma).

Una novità importante nel rifacimento delle Nuvole è l’agone fra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore, che si svolge davanti al giovane Fidippide ed allude alla tecnica sofistica dei “discorsi duplici” (δισσοὶ λόγοι). Tema dello scontro è il confronto fra l’educazione tradizionale (difesa dal Discorso Migliore) e quella moderna, frutto della sofistica (sostenuta dal Discorso Peggiore). La vittoria conclusiva del Discorso Peggiore è assoluta, tanto che alla fine il Discorso Migliore, sconfitto dall’avversario, passa dalla parte del nemico (cfr. vv. 1102-1104). Una volta questa scena era considerata espressione del conservatorismo di Aristofane, ma essa è, in realtà, espressione di un disorientamento ideologico, dell’incapacità del poeta di aderire pienamente ad uno dei due modelli proposti: quello antico per la sua incapacità di evolversi e per i suoi parametri troppo rigidi, quello moderno per l’eccessiva spregiudicatezza e corruzione.

Secondo Eliano, “proprio grazie a Socrate le Nuvole ebbero grande popolarità”; parte della critica ha anzi ritenuto Aristofane diretto responsabile della successiva condanna a morte di Socrate. Tuttavia fra la rappresentazione delle Nuvole ed il processo a Socrate passarono quasi venticinque anni; inoltre, se lo scopo prioritario di Aristofane fosse stato quello di far condannare Socrate, la sconfitta del dramma alle Dionisie dimostrerebbe che gli Ateniesi non la pensavano come lui. È però innegabile che nell’Apologia platonica Socrate faccia un polemico riferimento alle Nuvole (18a-d, 19b-c).

Anche altri comici avevano attaccato Socrate per divertire il pubblico; ma pare evidente che, a molti anni di distanza, il ricordo della parodia di Aristofane era ancora lacerante. Ciò sembra confermato dalla notizia, sempre fornita da Eliano (II 13), secondo cui Socrate durante la rappresentazione delle “Nuvole” restò vistosamente in piedi per polemizzare con l’autore comico. Vero è peraltro che nel Simposio platonico si ha un dialogo fra Socrate, Aristofane ed Agatone in cui i toni polemici sono molto attenuati.

Socrate compare per la prima volta a mezz’aria, appeso ad una cesta, intento allo studio dei fenomeni fisico-cosmologici; così si presenta egli stesso: “Per l’aere muovo e guardo dall’alto il sole” (Ἀεροβατῶ καὶ περιφρονῶ τὸν ἥλιον, v. 225; la nuova traduzione di Cadoni rende così: “Faccio l’aeròbata, fluttuo per l’Aria. E studio il Sole da vicino”).

Socrate (interpretato da Antonello Fassari) con una coreuta

Il filosofo viene connotato come una sorta di cialtrone, un santone che evoca nuove divinità, un asceta che guida una comunità astrusa, un ateo materialista dedito a studi paradossali.

Indubbiamente questo Socrate aristofanesco differisce da quello storico per diversi aspetti: per i suoi interessi astronomici e geologici (negati dal Socrate platonico, cfr. Apologia 18b ss.);  per l’empietà, che è l’opposto della pietas attribuita al Maestro da Platone e Senofonte; per l’insegnamento spregiudicato impartito ai giovani e per il denaro che ne riceve (il Socrate storico differiva proprio in questo dalla venalità dei sofisti: cfr. ad es. Platone Apologia 19d ss. e Senofonte Memorabili I 2, 60).

Il pubblico di media cultura, però, non era di certo in grado di differenziare Socrate dai sofisti, vedendoli accomunati da una ricerca di scandalose novità, che cozzava contro i suoi valori consolidati; quanto ad Aristofane, non è facile stabilire se condividesse del tutto l’opinione prevalente ad Atene o si limitasse a strumentalizzarla a scopi comici.

Il Socrate di Aristofane, in definitiva, incarna un’intollerabile “provocazione” per la polis, anche per la sua pretesa – paradossalmente concorrenziale nei confronti del teatro comico – di “educarla” e di darle dei nuovi valori.

Il personaggio più presente sulla scena è Strepsiade (il nome indica “colui che volge, che storce” la giustizia; cfr. il verbo στρέφω “girare”); è un vecchio contadino inurbato per ragioni sociofamiliari: ha sposato una donna aristocratica (v. 46) ed ha avuto un figlio che dilapida tutti i suoi beni a causa della sua passione per l’ippica. Si è notata, nella caratterizzazione del vecchio (rozzo, avaro, ignorante, egoista, volgare, ma dotato di un solido buon senso contadino), un’insolita attenzione psicologica da parte dell’autore; ma resta fondamentale la sua connotazione comica, che deve provocare il riso del pubblico. Ciò avviene soprattutto nella scena in cui il vecchio diventa allievo di Socrate, rivelandosi disinteressato, demotivato ed incapace di assimilare alcunché.

Suo figlio è Fidippide, il cui nome (come spiega Strepsiade) deriva da un compromesso fra il nome proposto dal padre (“Fidonide”, nome del nonno, che fa riferimento al verbo φείδω “risparmiare”) e quello voluto dalla madre, col suffisso “da cavalieri” -ippo (cfr. vv. 59-67); in sostanza ne deriva un nome antifrastico, vista la passione sfrenata del giovane per i cavalli (altro che “risparmia-cavalli”!). Si tratta di un giovane viziato che, spinto dalla madre e non frenato dal padre, pensa soltanto ai cavalli e alle corse, coprendo il genitore di debiti. Sua madre l’ha indotto a frequentare la jeunesse dorée, i giovani aristocratici dai gusti stravaganti, sperando in una sua scalata sociale. Quando il padre intende mandarlo alla scuola di Socrate, avanza tutte le sue perplessità verso il filosofo ed i suoi discepoli; quando però sarà condotto di forza al “pensatoio”, ne uscirà radicalmente trasformato (in peggio, tanto da voler percuotere e/o insultare i genitori).

Strepsiade (Nando Paone) e Fidippide (Massimo Nicolini) nell’allestimento siracusano

I discepoli di Socrate sono mostrati in posture paradossali: stanno in piedi con gli occhi rivolti in giù, oppure sono curvi col fondoschiena rivolto al cielo (cfr. vv. 184-194); spesso sono insofferenti e intolleranti (uno inveisce contro Strepsiade che, bussando alla porta, gli ha fatto “abortire” un pensiero appena escogitato, cfr. v. 137), alle prese con i più assurdi quesiti pseudo-scientifici (ad es. “quanti mai dei propri piedi possa saltare una pulce”, v. 145, o se le zanzare “ronzano dalla bocca o dal di dietro”, v. 158). Aristofane ha buon gioco nel divertire il pubblico, mostrando una descrizione banalizzata ed esteriore del “pensatoio” socratico e creando il cliché di una certa figura di intellettuale pallido, emaciato ed “astratto” che tanta fortuna ha avuto (ed ha ancor oggi).

Le Nuvole, che costituiscono il coro, assomigliano “a donne mortali” (v. 341), anche se Socrate ne sottolinea la mutevolezza; evidentemente esse alludono alla vacuità ed instabilità della cultura sofistica; tuttavia i loro canti sono spesso pervasi di intenso lirismo.

Il coro delle Nuvole, composto dalle allieve dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico

Il ruolo di questo coro è altrettanto mutevole e strano: inizialmente si mostra devoto alle nuove idee fisiche e metafisiche di Socrate e promette a Strepsiade un indubbio successo, mentre alla fine del dramma afferma di avere organizzato una “trappola” per il vecchio bifolco, allo scopo di punirlo per la sua disonestà e ricondurlo all’amore per gli dèi: “Questo noi siamo, questo noi facciamo: / appena ci accorgiamo / che un uomo s’invaghisce / di azioni disoneste, / suadenti lo spingiamo / incontro alla rovina. / Così si rende conto / che è meglio non smarrire / il timore degli dèi” (vv. 1453-1461, trad. Cadoni). Qui le Nuvole si esprimono con termini che ricordano l’”imparar soffrendo” (πάθει μάθος) eschileo o un noto aforisma antico (Quem deus vult perdere, prius dementat).

Ancora il coro delle Nuvole nell’allestimento di A. Calenda

Risulta anche sorprendente che le Nuvole, che dovrebbero rappresentare il nuovo pensiero religioso (collegato alle speculazioni meteorologiche e cosmologiche che caratterizzano il Socrate aristofanesco), siano così legate alle divinità tradizionali; esse infatti ricordano gli dèi tradizionali nei loro canti: cfr. i vv. 563-574 e 595-606, ove sono invocati Zeus, Poseidone, Apollo, Artemide, Atena e Dioniso, oltre all’Etere (che è l’unica divinità “nuova”).

Lo spettacolo è stato accolto bene dalla critica.

Su “Repubblica” (ed. Palermo), il 4 agosto scorso, Francesca Taormina ha definito queste Nuvole “sobrie ed eleganti”; scrive infatti: «Antonio Calenda ne fa uno spettacolo sobrio, elegante, molto curato, forse un po’ lungo, due ore e quaranta, ma piacevolissimo. Ecco i maggiori meriti: Nando Paone, nei panni di Strepsiade è abilissimo, ne fa un personaggio beckettiano, smarrito e allo stesso tempo furbo, nemmeno sfiorato da un minimo senso etico, solo i debiti sono al centro della sua vita; tutto il cast è di prim’ordine e lo è certamente Galatea Ranzi, una nuvola seducente, ammiccante, in doppio con Daniela Giovannetti, Stefano Santospago è Aristofane stesso che presenta la commedia e ne sorveglia l’andamento. Molto convincente il Socrate di Antonello Fassari e il Fidippide di Massimo Nicolini. Il coro di Nuvole è ben manovrato dalle coreografie di Jaqueline Bulnés, ma un applauso speciale va alle musiche di Germano Mazzocchetti, tutte ispirate al Novecento, che riportano la commedia all’avanspettacolo, al varietà, territori naturali per Calenda. Applausi convinti per tutti». Va detto che il coro è formato dalle allieve dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico.

Molto significative le dichiarazioni del regista Antonio Calenda: «Aristofane, intellettuale, diremmo oggi, perfettamente immerso nel vortice politico e filosofico del suo tempo, protagonista del dibattito che egli stesso alimenta con la sua arte, propone un sovvertimento comico, e allo stesso tempo tragico. Un’opera dell’esistere, contaminata, oltre ogni percezione superficiale, sin nel midollo linguistico, dalle contraddizioni di un momento storico di conflitto, la guerra del Peloponneso, con la conseguente fine o trasformazione del modello della polis ateniese».

La scena delle “Nuvole”: a sinistra la casa di Strepsiade, a destra il Pensatoio di Socrate

La scenografia è semplice: a sinistra c’è la casa di Strepsiade, a destra l’edificio sede del Pensatoio di Socrate. Come scrive lo scenografo Bruno Buonincontri, sono «così vicini, così lontani. Come due propilei, a guardia però di un grande nulla. La bianca architettura neoclassicheggiante, gli ariosi spazi intorno e sullo sfondo, sono fumo privo di sostanza. Sono come un fragile set cinematografico, dove gli uomini recitano la loro ingannevole e ingannata parte».

Nella scelta dei costumi Bruno Buonincontri ha mirato a riprodurre il concetto della verità inconoscibile: «maschere, mascherine, finte statue, barbe e parrucche, tuniche e frac, bombette e cappelli a cilindro, tricicli, carretti, globi terrestri e cavalli meccanici, tutto è da tutti grottescamente e sfrontatamente mescolato per camuffare una sola verità: nessuno conosce la vera verità».

Le musiche di Germano Mazzocchetti si ispirano dichiaratamente “al varietà e all’opera buffa”; infatti “il personaggio di Strepsiade è piuttosto riconducibile a un archetipo rossiniano o donizettiano, si può senz’altro accostare a un Don Bartolo o un Don Pasquale, cioè uno di quei personaggi che alla fine vengono esposti dall’Autore all’affettuosa irrisione del pubblico”; anche Socrate è accompagnato, nel suo ingresso e durante le scene, da una marcetta parodistica. Ben diversa la connotazione musicale delle Nuvole: come precisa Mazzocchetti, nei loro canti “il linguaggio musicale attinge a sonorità tra il classico novecentesco e l’etnico, utilizzando spesso elementi modali”.

La traduzione di Nicola Cadoni, docente al liceo classico “Azuni” di Sassari, ha dovuto – per sua stessa ammissione – cimentarsi in vere e proprie “acrobazie”: «Le Nuvole […] possiedono qualcosa in più: una potente venatura tragica – eschilea – che è sostanza ancor più che forma. Quanto alla forma, questo aspetto si estrinseca in un’ispirazione assai felice nei canti corali: in essi Aristofane adotta un registro magistralmente consono all’essenza dell’etereo coro che li pronuncia, toccando vette liriche mai più raggiunte. Al traduttore si presenta il compito, faticoso e appassionante insieme, di provare a riprodurre tali vertici che si stagliano solenni, quasi estranei, in mezzo a quei fenomenali tempi e sensi comici che costituiscono la cifra più autentica del genio di Aristofane».

Non mancano, dunque, fra le scelte del traduttore, da un lato termini colloquiali o parodisticamente collegati alla nostra attualità (“il reddito di contadinanza”, “pedigree”, “biancheria sexy”, “think tank”, “cazzeggiare”, “quello che aveva giurato sul cuore immacolato di Atena che non avrebbe mai fatto cader il governo”), dall’altro vocaboli più aulici e lirici soprattutto nei canti del coro (“Aere incommensurabile”, “noi roride, mutevoli”, “riti arcani, ineffabili”, ecc.). Un mix accorto, a tratti rischioso e spiazzante, ma sicuramente efficace nel suo impatto scenico.

Nel complesso, uno spettacolo piacevole, non banale, divertente (nonostante una certa lunghezza), con una regia brillante e interpreti tutti “in parte” (un plauso particolare a Nando Paone, efficacissimo Strepsiade, e a Galatea Ranzi, corifea come sempre bravissima).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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