C’era una volta…

C’era una volta l’estate mediterranea.

Sull’Italia si imponeva, proveniente dall’Atlantico, l’anticiclone delle Azzorre, foriero di bel tempo e di temperature calde ma “normali”.

Ogni tanto capitava qualche temporale estivo, di durata ed entità “normali”, che interrompeva la “normale” calura; e questi temporali si facevano più frequenti e intensi dopo Ferragosto, anche qui in Sicilia, tanto che poté nascere un proverbio popolare che oggi appare surreale: “Austu e riustu è capu d’invernu”.

Il pomeriggio, dopo le 17, avveniva l’“arrifriscata”: dopo le ore più calde, si alzava mite un venticello ristoratore, una brezza tonificante; le ombre si allungavano nelle campagne, nelle città l’asfalto rovente veniva spesso rinfrescato dalle pompe delle autobotti comunali, veniva voglia di uscire, di respirare, di vivere la vita “normale”. La sera c’era “frischiceddu” (ricordo che a Bagheria, nel giardino di casa, a volte dovevo ricorrere a un golfino di cotone; ed ero giovane!).

C’erano, sì, le ondate di scirocco, ma erano contingentate: tre giorni di caldo notevole ma secco e torrido sotto le folate sahariane e già al terzo giorno aumentava l’umidità e o pioveva o si tornava a temperature “normali”, a quello che il severissimo pretore Salmeri (da me recentemente commemorato in un post) definiva “normale caldo estivo”.

Ricordo anche che quando a fine agosto tornavo dalle vacanze estive bagheresi nella mia città, Genova, era quasi sempre “normale” trovare, la mattina e la sera, un fresco pungente, che induceva a indossare le prime maniche lunghe.

Ho virgolettato molte volte il termine “normale”, perché di “normale” le estati di oggi non hanno più niente.

Preannunciate da minacciose anteprime (come le estati del 1982 o del 2003), diventate di anno in anno più lunghe e asfissianti, caratterizzate dalla latitanza sistematica del fu anticiclone atlantico e dalla presenza opprimente del suo fratellastro africano, oggi le estati del Centro-Sud Italia sono un inferno insopportabile: un inferno letterale, con tanto di contorno di fiamme impunemente appiccate dalle bande di criminali piromani che infestano questi territori.

A Munnizzermo (così andrebbe ormai doverosamente ribattezzato il capoluogo siciliano) le temperature minime (?!!) della notte sono, in centro, di 29°. Di giorno si va sempre sui 35°, ma nei prossimi giorni si prevede anche di peggio. L’aria è rovente fin dalle prime ore del mattino. Pochi passanti stravolti si aggirano nella città deserta, tappandosi il naso di fronte alle montagne di rifiuti disseminate ovunque, che ringraziano il sindaco e la RAP di poterla fare franca – anche loro – impunemente e sempre.

Ovviamente i palermitani (loro si chiamano ancora così), se ne hanno la possibilità e se sono in ferie, cercano refrigerio al mare, o inseguono vani ricordi di soggiorni al fresco collinare, o viaggiano verso mete magari altrettanto roventi, o si barricano in casa facendo ricorso a tutti i comfort disponibili (in climax decrescente: aria condizionata generalizzata, pompe di calore, “raffrescatori” – ho visto che ora si chiamano così – , discendenti illegittimi dei Pinguini Belonghi, ventilatori elettrici rumorosi a giro, ventagli spagnoli, ventagli di cartone, vasche da bagno, bidet, bottiglia d’acqua).

Mi è stato riferito con certezza che per ora c’è chi va a dormire sul prato del Foro italico, ben lieto la mattina di vedersi “arruciare” dai getti d’acqua dell’irrigazione mattutina. Altri si aggirano insonni per la città (benedetta abolizione del coprifuoco!), con le mascherine anticovid diventate provvidenziali per proteggere il naso dai miasmi putridi dell’immondizia.

Un inferno. Intanto, come annunciano i media, “da lunedì e fino a Ferragosto (compreso), il nostro Paese verrà investito da un’imponente ondata di caldo africano, con temperature che potranno toccare punte di oltre 45 gradi nelle regioni meridionali. Sarà la più rovente e duratura ondata di calore di questa estate” (Sky TG24).

Ha da passà ‘a nuttata, direbbe Eduardo.

Le giornate, per fortuna, si accorciano inesorabilmente (un minuto la mattina, un minuto la sera). L’anticiclone africano Lucifero, con le sue tre facce dantesche (caldo fortissimo, caldo estremo, caldo insopportabile), enorme orrida insopportabile odiosa mostruosa creatura, dovrà pur ricevere dalla giustizia divina la meritata pena. Il termometro, dopo aver sondato l’insondabile sfiorando i 50° all’ombra e superandoli al sole, dovrà pur ridiscendere su valori più “normali”.

E di questa estate che di “normale” non ha niente (e non solo a livello climatico) resterà il (brutto) ricordo, in attesa della prossima, che minaccia di essere ancora peggiore.

La migrazione in Lapponia diventa un’opzione sempre più allettante.

P.S.: “Questo clima che c’infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia”: così scriveva il Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa (ma se fosse vissuto oggi avrebbe sicuramente chiesto alla sua consorte Alexandra Wolff Stomersee di farlo migrare nel Baltico).

Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la moglie, Alexandra Wolff Stomersee

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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