I film del 1971

Fin da ragazzo, seguendo l’esempio di mio padre, ho conservato appunti e ricordi delle cose che mi sembravano più importanti o che mi incuriosivano di più. Nel mio archivio, ormai enorme, oggi ritrovo di tutto; e a volte ci sono anche delle note di mio pugno che immortalano alcune giornate o alcuni momenti.

In una sezione dedicata al 1971 (mezzo secolo fa!) ho trovato la puntuale annotazione dei film che in quel periodo avevo visto al cinema. Ero un ragazzo di 17 anni, allora, sicché non sempre le mie scelte erano di altissimo livello artistico e culturale; ma alcuni di quei film me li ricordo ancora e credo che siano ricordati e conosciuti non solo dai miei coetanei, ma anche da molte persone più giovani che hanno avuto modo di vederli in televisione o in streaming.

Il primo film che vidi quell’anno, il 3 gennaio al Cinema Excelsior Supercinema di Palermo in via Cavour, fu il divertente “Brancaleone alle crociate”, diretto da Mario Monicelli e sequel del mitico “L’armata Brancaleone”. Vittorio Gassman tornava qui a interpretare il suo picaresco personaggio, che al comando di una banda di straccioni si dirigeva in Terra Santa, alla conquista del Santo Sepolcro. Anche in questo film la cosa più divertente era il buffo linguaggio pseudomedievale (“aìta, aìta”, “qui non si chiude òculo”, “vai, mala bestia!”, “io farò di voi quattro un’armata veloce et ardita che sia veltro e lione al tempo  istesso”, “siate parati a pugnare” e via di questo passo); inoltre c’era un’intera sezione in versi, con rime davvero esilaranti. Inutile dire che all’uscita io e mio cugino Totuccio gustammo le meravigliose arancine della contigua Birreria Italia…

Sorvolo su una dimenticabile commedia con Monica Vitti (“Ninì Tirabusciò”), vista al Supercinema di Genova il giorno dell’Epifania, per ricordare invece un bel film che vidi il 17 gennaio al cinema Aurora: era il famoso “Borsalino”, diretto da Jacque Deray e interpretato dagli scanzonati Alain Delon e Jean-Paul Belmondo, nella parte di due malavitosi marsigliesi degli anni Trenta; il personaggio di Delon si chiamava Roch Siffredi e da lui ricavò il suo nome d’arte (chiamiamola così…) il famigerato attore a luci rosse, che in realtà ha il nome ben poco sexy di Rocco Tano; ricordo ancora la bella colonna sonora di Claude Bolling, con un trascinante motivetto suonato al piano.

Demenzialissimo, ma accompagnato da una divertente colonna sonora di Ennio Morricone, era “Quando le donne avevano la coda”, di Pasquale Festa Campanile che vidi il 30 gennaio al Supercinema di Genova; i personaggi avevano dei ridicoli nomi neanderthaliani: Senta Berger era Filli, Giuliano Gemma era Ulli e Frank Wolff era, semplicemente, Grrr (!).

Fra i film visti a febbraio, ricordo (cinema Lido, giorno 13) “La moglie del prete”, di Dino Risi, con Sophia Loren nei panni di un’ex cantante salvata dal suicidio grazie alle telefonate su “Voce amica” e alle parole di un sacerdote interpretato da Marcello Mastroianni.

Ma soprattutto per me è indimenticabile “La califfa”, un film malinconico e intimista che vidi il 27 febbraio all’Ideal; era diretto da Alberto Bevilacqua, che lo aveva tratto dal suo romanzo del 1964; i bravissimi protagonisti erano Ugo Tognazzi (nella parte dell’industriale Doberdò) e Romy Schneider (la “Califfa”, cioè l’operaia con cui il padrone ha una relazione che lo cambia profondamente). L’ambientazione era a Parma, mentre la musica, con un tema principale famosissimo e sublime, era di Ennio Morricone. Un film intenso e profondo.

Il 21 marzo, al Supercinema, fu la volta de “Il giardino dei Finzi Contini”, sulla persecuzione degli ebrei di Ferrara, diretto da Vittorio De Sica e tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani; un film di altissimo livello, che vinse il David di Donatello come miglior film dell’anno, l’Orso d’oro a Berlino e, l’anno dopo, l’Oscar per il miglior film straniero. Fra gli interpreti, Lino Capolicchio, Dominique Sanda (nel ruolo di Micol), Romolo Valli ed Helmut Berger.

Nel mese di aprile, il giorno 9, trovandomi nella bella Bologna, al cinema Capitol vidi “Scipione detto anche l’Africano”, diretto da Luigi Magni e interpretato da Marcello Mastroianni; i personaggi si esprimevano in un anacronistico romanesco e le mie (allora scarse) conoscenze scolastiche trovavano puntuale smentita nelle vicende del film.

Di buon livello, secondo me, furono i tre film che vidi a maggio: “Il gatto a nove code” (inquietante thriller di Dario Argento) il 1° del mese al Lux; il 20 al Diana “Sacco e Vanzetti” (di Giuliano Montaldo, impegnato nella ricostruzione dell’ingiusta condanna a morte, in America, di due anarchici italiani del tutto innocenti, interpretati da Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla); infine, il 29 al Verdi, “Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica”, di Damiano Damiani (futuro regista della prima “Piovra” televisiva), con Franco Nero e Martin Balsam protagonisti.

Il 24 giugno all’Aurora vidi “Questo pazzo pazzo pazzo mondo”; in realtà era un film “antico” (del 1963), ma allora, nella stagione estiva, nei pochi cinema aperti si proiettavano film “datati” e riproposti alla visione (anche perché era quasi impossibile allora rivedere un film dopo la proiezione in sala, dato che le uniche due reti televisive trasmettevano semmai film più antichi). Questo film era un’esilarante commedia americana diretta da Stanley Kramer e interpretata dal grande Spencer Tracy (“Spinci e trasi”, come sicilianizzava il suo nome Alfredo, il proiezionista di “Nuovo Cinema Paradiso”).

I film estivi meritano un discorso a parte. Quando ero ragazzo e in estate andavo a Bagheria, in paese c’erano ben cinque sale: Capitol, Supercinema, Nazionale, Corso e Vittoria (ex Littorio); inoltre operavano in zona tre arene: l’Imperia, la Conchiglia ad Aspra e la Paradiso a Santa Flavia (quest’ultima ha ispirato il nome del cinema Paradiso nel capolavoro di Peppuccio Tornatore).

All’arena si andava dopo cena, per trovare più fresco; a quei tempi anche sulla costa la sera c’era “frischiceddu” e spesso occorreva – almeno a partire dal II tempo – un golfino di cotone (come quello che Verdone in un suo gustoso sketch consigliava per la sera a eventuali visitatori del pianeta Marte). I film proiettati erano riprese della stagione precedente, vecchi classici riciclati o bidoni assoluti (negli anni ‘60 dominavano i western all’italiana di infimo ordine, i film spionistici alla 007 e gli innumerevoli film scacciapensieri di Franco e Ciccio). Le sedie erano di ferro, scomodissime; lo schermo era attorniato da case private, con balconi popolati da spudorati spettatori a sbafo o da persone intente a prendersi il fresco, che parlavano impunemente a voce alta creando un colorito e surreale effetto stereo con la proiezione del film.

Quell’estate di cinquant’anni fa, con i miei cugini, all’arena vidi film dimenticabilissimi, tra i quali cito solo “L’uomo dalla cravatta di cuoio” di Don Siegel, con Clint Eastwood nei panni di un vice-sceriffo dai metodi spicci e sbrigativi.

A settembre, al ritorno a Genova, ricordo “Per grazia ricevuta”, di e con Nino Manfredi (cinema Aurora, giorno 12, premiato a Cannes), che, dosando toni comici e drammatici, affrontava con un certo coraggio il tema dei “miracoli”.

A ottobre (Supercinema, giorno 10) vidi invece “Il piccolo grande uomo”, diretto da Arthur Penn, un film d’avanguardia, che affrontava il tema dei nativi americani da un punto di vista nuovo per l’epoca (anticipando di molti anni “Balla coi lupi” di Kevin Costner).

Posso ancora citare “Noi donne siamo fatte così” (di Dino Risi, visto all’Aurora il 1° novembre), “Una farfalla con le ali insanguinate” (un thriller diretto da Duccio Tessari ed interpretato da Giancarlo Sbragia e Helmut Berger, Supercinema 7/11) e infine “Er Più” di Sergio Corbucci (cinema Ideal 13/11), con Adriano Celentano negli improbabili panni di un bulletto romanesco.

Ho avuto occasione di rivedere in seguito molti di questi film; e mentre alcuni appaiono oggi datati e obsoleti, la visione di altri è per me (e non solo per me) tuttora gradevole; resta indubbio il fatto che in TV o al pc non si può ricreare il fascino che queste pellicole assumevano nelle antiche sale cinematografiche, senza dolby stereo, senza poltrone confortevoli, senza prenotazione obbligatoria e magari con il vicino che ti fumava accanto incessantemente.

E speriamo che al più presto, in piena sicurezza, si possa tornare tutti al cinema, mettendo fine alla lunga astinenza dalle sale e ridando respiro a una categoria che, come tante altre, è stata duramente provata dalla pandemia.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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